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“L’Iran non vuole la guerra con Israele”, l’analisi del direttore del centro Studi

Il direttore del centro studi Al-Bayan: "Per scongiurare un conflitto l'Occidente dialoghi con Teheran e favorisca uno Stato di Palestina"

Pubblicato:14-08-2024 16:07
Ultimo aggiornamento:14-08-2024 16:07

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ROMA – “L’Iran non vuole una guerra con Israele, questo è certo, ma l’assassinio di uno dei leader palestinesi di Hamas a Teheran, Ismail Haniyeh, avvenuta in quel modo umiliante, ha messo il paese in una posizione molto imbarazzante: da un lato, Teheran non può rimanere in silenzio ma, dall’altro, è consapevole che qualsiasi mossa potrebbe danneggiare i negoziati per il cessate il fuoco a Gaza“. Ali Taher Alhammood è direttore dell’Al-Bayan Center for Planning and Studies, con sede a Baghdad, in Iraq, ed è esperto in studi sull’Islam politico sciita, etnie e minoranze. La Dire lo raggiunge telefonicamente nella capitale irachena, mentre si rincorrono notizie e timori per l’aggravarsi di una prospettiva di scontro diretto tra Iran e Israele, e intanto Stati Uniti, Egitto e Qatar lavorano alla ripresa dei negoziati di domani a Doha, per porre fine alla guerra a Gaza.

In Iraq, assicura il dirigente, l’opinione pubblica segue con attenzione quanto avviene tra Israele, Hamas, il gruppo libanese Hezbollah e l’Iran. “La maggior parte degli iracheni sta coi palestinesi- spiega- perché contraria a ogni forma di occupazione. Noi stessi l’abbiamo subita nel 1917 con la conquista delle forze britanniche, e dal 2003, dopo l’invasione degli Stati Uniti. Molti hanno scelto di resistere pacificamente, quindi la resistenza palestinese è ritenuta una forma legittima di lotta per indipendenza e libertà. Ma la gente- prosegue lo studioso- è consapevole che ciò che accade ha un impatto diretto anche sul nostro Paese e nessuno vuole essere trascinato in una guerra”. Tra le conseguenze, l’esperto cita i “rigurgiti dell’estremismo politico”, ma anche “contraccolpi economici interni” e “riforme che vengono rimandate”.

Quanto all’Iran, secondo l’esperto la linea è chiara: “Fin dal 7 ottobre ha cercato di mantenere alta la tensione con Israele per sostenere la causa palestinese, ma evitando lo scontro diretto”. Ad accendere la miccia sarebbe stato l’attacco israeliano al consolato iraniano a Damasco dell’1 aprile: “se Tel Aviv lo avesse evitato- dice Alhammood- l’Iran non si sarebbe mosso”, rispondendo con 300 droni che, godendo di ore di vantaggio, le forze di difesa di Tel Aviv hanno neutralizzato.


Il direttore del centro studi iracheno Al-Bayan respinge ancora l’ipotesi di una “guerra totale” nell’area mediorientale, sebbene l’Iran “possegga arsenali militari ben forniti per sostenerla”. Ma, come chiarisce Alhammood, “Teheran accumula armi come mezzo di deterrenza, non di offesa”. Inoltre, “finora ha mostrato grande autocontrollo e capacità di calcolo: il dibattito interno è sui costi di un conflitto, che saranno senza dubbio nuove sanzioni internazionali sulla propria economia e una maggiore presenza americana nella regione”. Quanto a Israele, Alhammood afferma: “ha commesso azioni brutali e sconsiderate negli ultimi decenni”, al punto che “perfino in Iraq temiamo attacchi diretti alla nostra sovranità”, dopo le incursioni in paesi come Libano, Siria e Yemen“. Nonostante questo, “l’Occidente lo sostiene”.

Tornando in Palestina, Alhammood continua: “L’Iran difende ideologicamente la causa palestinese – un territorio occupato secondo il diritto internazionale – e ha costruito tutta la sua politica estera sull’ostilità verso Israele. Ciò ha portato alla creazione di numerose milizie e gli è valso un certo seguito“. Dopo la guerra però, “potrebbe andare in crisi, dato che non è stato in grado di intervenire direttamente a sostegno della resistenza palestinese”.

Ma per fermare il rischio di uno scontro diretto e generalizzato, cosa può fare la comunità internazionale? “Primo- replica l’esperto- dopo il cessate il fuoco a Gaza, può promuovere la rinegoziazione dell’accordo sul nucleare iraniano – stralciato dall’ex presidente Donald Trump – e revocare il divieto sui fondi iraniani sequestrati“. Secondo, “realizzare la soluzione dei due Stati. Uno Stato di Palestina è l’unico modo per smantellare i gruppi di resistenza armata ed estremisti, favorendo sviluppo e crescita economica in tutti i paesi arabi della regione. Israele vi si oppone, ma se crede di poter cancellare i palestinesi – come ha promesso più volte di fare, e come sta facendo tramite il genocidio in corso a Gaza – troverà davanti a sé solo altri gruppi armati. Sbaglia se pensa di poterli sconfiggere”, conclude.

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