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Afghanistan, Kamal Fakhruddin: “Quanti errori, ora è il baratro”

L'ex capo di gabinetto del ministero degli Interni del Paese alla Dire: "Kabul di nuovo epicentro della Jihad"

Pubblicato:14-08-2022 15:02
Ultimo aggiornamento:14-08-2022 15:02
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Afghanistan
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ROMA – È stata una storia segnata da “tanti errori e da scelte amare”, sia da parte della Nato che del Governo afghano, quella che è culminata con l’ingresso a Kabul e la presa del potere da parte dei talebani il 15 agosto 2021. Adesso, con i miliziani alla guida del Paese, l’orizzonte sembra essere fosco: “L’Afghanistan sta diventando di nuovo il centro di gravità della galassia jihadista mondiale” mentre le possibilità di una nuova “guerra civile” si fanno sempre più realistiche. L’analisi, alla vigilia del primo anniversario della caduta della capitale afghana, è del generale Kamal Fakhruddin, capo di gabinetto del ministero degli Interni del Paese al momento dell’ingresso dei miliziani in città.

L’ex dirigente dell’esecutivo dell’allora repubblica afghana, proclamata emirato islamico dai talebani alcuni giorni dopo la presa del potere, ricorda bene la giornata del 15 agosto. “In qualità di capo di gabinetto, la settima figura più importante degli Interni dopo il ministro e i sei viceministri, ero anche il responsabile della sicurezza del palazzo del ministero”, ricostruisce il generale. “Ho lasciato la sede del dicastero per ultimo, intorno alle cinque e mezzo del pomeriggio, quando l’avanzata dei miliziani era ormai irrimediabile. Nelle ore successive ho trovato un luogo dove nascondermi e un rifugio diverso per la mia famiglia. Il 17 agosto, dopo essermi messo in contatto con funzionari italiani, per i quali esprimo ancora molto gratitudine- prosegue l’ex capo di gabinetto- sono riuscito a trovare il modo di imbarcarmi su un volo militare diretto verso il vostro Paese con mia moglie e i miei figli. “.

Quello in Italia, per Fakhruddin, è stato un ritorno. “Ho studiato qui: nel 2003 ho fatto l’accademia militare a Modena e poi mi sono trasferito a Roma per frequentare la scuola per ufficiali dei Carabinieri”, ricorda l’ex dirigente, che ora vive nella Capitale. Una volta tornato in Afghanistan, prosegue, “sono entrato nell’esercito e ho collaborato col contingente Nato fra il 2008 e il 2013”. Nel 2016, lo spostamento da Herat, sede del contingente italiano, a Kabul, e l’ingresso nel ministero degli Interni. Gli ultimi tre anni che hanno preceduto l’ingresso dei talebani in città il generale li ha trascorsi lavorando come capo di gabinetto, un “ruolo di coordinamento molto delicato”. Anche un punto di osservazione speciale però, che ha permesso al militare afghano di guardare all’evolvere degli eventi “come una persona che vede un fiume passare seduto molto vicino sulla riva”. L’ex capo di gabinetto premette che “nel dare una valutazione su quanto avvenuto in Afghanistan è impossibile attribuire una responsabilità specifica a un unico attore“.


L’INVASIONE NATO DEL 2001 CONTRO I TALEBANI

Gli avvenimenti oggetto dell’intervista sono cominciati con l’invasione Nato contro i talebani nel 2001, lanciata all’indomani degli attentati contro le Torri gemelle di New York, e sono terminati con i miliziani che si riprendevano il Paese mentre i militari occidentali ritornavano a casa. “La storia del sostegno della Nato all’Afghanistan si può dividere in diverse fasi: dal 2001 al 2010 circa, è stato veramente eccellente, e anche la collaborazione con le istituzioni afghane era ottima- spiega l’ex dirigente degli Interni- La situazione è cominciata a cambiare nel 2010: in quel periodo l’Alleanza atlantica ha pensato che si potesse trattare con i talebani e l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni di Kabul si è modificato molto. Nel 2018 gli Usa hanno deciso di abbandonare il dossier afghano”.

A suggellare questo cambio di postura, prosegue Fakhruddin, “gli accordi di Doha del 2020“, l’intesa siglata in Qatar fra i miliziani e il Governo americano guidato dall’ex presidente Donald Trump che ha sancito il ritiro delle truppe Nato dal Paese in cambio di una serie di impegni da parte dei talebani, fra i quali quello di precludere il territorio afghano alle attività di gruppi islamisti come Al Qaeda.
Il generale afghano giudica la scelta di Washington “amara e sbagliata” e critica in modo particolare l’operato dell’inviato americano ai negoziati con i talebani, il diplomatico di lungo corso Zalmay Khalilzad, di origini afghane. “Ha fatto un disastro: ha diviso tutta la classe politica del nostro Paese e ha promesso ai miliziani cose che non avrebbe mai dovuto promettere”. I colloqui che portarono all’intesa poi, non hanno incluso il Governo di Kabul.

LE RESPONSABILITÀ

Per l’ex capo di gabinetto molte delle responsabilità dell’esito nefasto di tutto quel processo risiedono anche nel comportamento dell’esecutivo afghano, guidato all’epoca dal presidente Ashraf Ghani, fuggito dal Paese il 15 agosto, fra le polemiche e le accuse di corruzione. “Non siamo stati in grado di sfruttare nel modo giusto tutto il sostengo che ci è stato dato”, scandisce con rammarico il militare. “Molti dirigenti del Governo, anche di altissimo livello, hanno pensato più a spartirsi le risorse che giungevano nel Paese che a costruire uno Stato solido”. Fakhruddin, anche alla luce “dei tanti confronti con i colleghi americani e occidentali”, arriva a ipotizzare che a un certo punto “la coalizione Nato fosse stufa dell’inefficienza delle nostre autorità” e che la scelta di intraprendere i negoziati che hanno portato a Doha “sia stata in un certo qual modo costretta dalle circostanze”. Un’affermazione netta, che però non può prescindere da un’ulteriore considerazione. “Era necessaria più pazienza- afferma il generale- la Nato è giunta nel Paese nel 2001, i dirigenti che si sono formati anche grazie al contributo dei Paesi occidentali avevano pochissima esperienza, non avevano ancora formato una classe dirigente nuova”.

Al netto di tutte le valutazioni sul passato, per quanto recente, è il futuro a dover essere il centro di ogni riflessione. L’ex esponente del Governo afferma di “non vedere un orizzonte di pace per il Paese”, perchè i talebani “hanno fatto ricadere l’Afghanistan in un baratro dal quale è difficile uscire, fatto di diritti a esistere calpestati senza riguardo. Basta vedere cosa sta succedendo alle donne del Paese, picchiate quando manifestano in strada e bandite dal poter frequentare la scuola”. I miliziani inoltre, “stanno andando in una direzione diametralmente opposta a quella tracciata a Doha, facendo dell’Afghanistan, ancora una volta, l’epicentro delle attività di Al Qaeda, come testimoniato dal fatto che il suo ormai ex leader Ayman al-Zawahri sia stato ucciso proprio a Kabul, due settimane fa”.

La prospettiva, secondo l’ex militare, è che “lo scontro con le sacche di resistenza che ci sono nel Paese, come nella regione settentrionale del Panjshir, si moltiplichi e si ampli anche ad altre zone” fino, forse, “a sfociare in uno scenario di guerra civile”. Il Paese asiatico vive anche una crisi economica acuta, peggiorata tra l’altro dal congelamento, da parte degli Usa, di circa sette miliardi di dollari della Banca centrale. “Quei soldi non finirebbero mai nelle mani dei civili affamati ma solo nelle tasche dei capi talebani- avverte però Fakhruddin- Queste risorse devono essere usate come una leva di pressione per spingere i miliziani a rispettare la vita degli esseri umani, che per loro non ha alcun valore”.

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