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L’attivista yoruba in piazza a Roma: “In Nigeria federalismo vero ora”

Manifestazione con intervista della Dire nel 21esimo anniversario del ritorno ufficiale alla democrazia

Pubblicato:14-06-2021 19:40
Ultimo aggiornamento:14-06-2021 19:40
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MANIFESTAZIONE_NIGERIA
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ROMA – La Nigeria è a un bivio. Parole di Olawale Oladejo, rappresentante della comunità yoruba in Italia. Le scandisce, quelle parole, davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma: “O si cambia l’ordinamento dello Stato verso un federalismo e dei governi regionali veri o ognuno va per conto suo, anche perché non c’è una comunità etnica nigeriana che abbia un numero di abitanti inferiori a quelli del Lussemburgo. Possiamo stare tutti da soli”.

L’attivista, nel nostro Paese da 39 anni, di base in Emilia Romagna, ha manifestato nella capitale sabato, insieme con decine di connazionali residenti in Italia, nel giorno del 21esimo anniversario del ritorno ufficiale alla democrazia del Paese africano dopo decenni di governi autoritari militari. In piazza c’erano i colori rappresentativi delle più popolose comunità del sud della Nigeria. Da una parte, il bianco, il verde e il blu della ‘nazione Yoruba‘, 60 milioni di persone nelle regioni sud-occidentali e una nutrita diaspora in tutto il mondo. Insieme a questi, il giallo, il rosso, il verde e il nero della bandiera del Biafra. Con questo nome si intende una repubblica secessionista nel sud-est del Paese, abitata per lo più dalla comunità igbo. Il Biafra si proclamò indipendente nel 1967: ne seguirono una guerra civile che durò tre anni e provocò centinaia di migliaia di morti fra i civili, più di un milione secondo alcune stime, e una delle peggiori carestie del secolo scorso.

L’occasione per scendere in piazza, insieme, è una mobilitazione internazionale che si è svolta sabato contemporaneamente in 170 Paesi. Tante le istanze che sono confluite nella protesta, che in Nigeria è anche degenerata in scontri con le forze dell’ordine nella capitale Abuja e a Lagos. Tra queste, anche la richiesta di dimissioni del presidente Muhammadu Buhari, ex comandante dell’esercito durante il conflitto in Biafra, accusato di non essere in grado di gestire la complessa fase economica che sta attraversando il Paese e di garantire la sicurezza dei suoi cittadini. A Roma però i manifestanti hanno sottolineato che le complessità che si vivono oggi hanno radici profonde e si possono comprendere solo percorrendo a ritroso la storia recente del colosso africano, 201 milioni di abitanti nel cuore dell’Africa occidentale. “L’origine dei problemi può essere individuata nel processo di ‘agglomerazione’ delle diverse nazioni nigeriane iniziato nel 1914 per volontà dei dominatori coloniali brittanici” spiega Oladejo, intervistato dall’agenzia Dire.


“Se le cose hanno retto fino all’indipendenza del 1960, la fase di autonomia che si è aperta poi è stata caratterizzata da una serie di colpi di Stato militari, il primo nel 1966, che hanno avviato una forte dinamica di accentramento dei poteri a danno delle realtà e le autonomie locali”. L’ultima fase di questa evoluzione storica sarebbe cominciata con “l’entrata in vigore della Costituzione del 1999, l’unica imposta per decreto al mondo” dice l’attivista, convinto che gli ultimi anni di vita politica della Nigeria siano “stati segnati da un’organizzazione del potere che non ha accontentato nessuno, ma che pian piano ha iniziato a favorire le popolazioni del nord, che hanno in mano il potere militare e politico”.

Il riferimento è soprattutto alla comunità dei pastori fulani, di cui fa parte anche Buhari, di lingua hausa e per lo più musulmana. Nel luglio 2020 c’è stata una richiesta formale di abrogazione della Carta del 1999 e di indipendenza delle province a maggioranza yoruba tramite un referendum, comunicata attraverso una lettera inviata al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Nella missiva, spedita anche a numerosi governi e istituzioni internazionali, si fissa anche un ultimatum all’esecutivo di 90 giorni, poi prorogato. Le richieste vanno nella direzione di un cambiamento radicale dell’ordinamento nigeriano, sia pure proiettato nel futuro. Nell’immediato l’obiettivo è invece superare un presente non più sostenibile, fatto di “insicurezza e miseria”, secondo Oladejo. “I pastori fulani fanno rispettare il loro diritto alla transumanza con gli Ak47, in un Paese dove non si può circolare legalmente armati, e stanno ormai commettendo un genocidio” dice l’attivista. “E poi c’è tanta miseria, anche nel nostro sud, ricco di prodotti agricoli e di risorse come il petrolio, di cui la Nigeria è sesto Paese esportatore al mondo”.

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