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Epatite C, in Italia 180mila pazienti trattati con le nuove terapie

Epatologi, infettivologi e internisti si incontrano a Roma per attuare una sinergia nella pratica clinica nella lotta contro l’epatite C

Pubblicato:14-06-2019 11:12
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:24

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ROMA – Quattro incontri rivolti agli specialisti per coordinare l’attività e individuare i pazienti che non sanno o non si sono ancora sottoposti alla terapia gratuita, non tossica e della durata di poche settimane per eliminare la minaccia incombente dell’Epatite C e tornare a vivere.
Seconda tappa con l’appuntamento “HCV: Be Fast, Be Different”, organizzato da AbbVie, in questo quadro complesso e allo stesso tempo promettente che si tiene il 13 e 14 Giugno a Roma, presso l’ A. Roma Life Style Hotel. L’iniziativa fa seguito all’incontro tenutosi a Matera a maggio, a cui ne seguiranno altri due in autunno a Torino e a Milano.

“Il convegno si propone di fare il punto sui grandi progressi fatti negli ultimi anni nel campo della terapia dell’epatite cronica da virus C – afferma il Prof. Mario Angelico, Professore Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Tor Vergata di Roma. – Saranno illustrati i vantaggi legati all’introduzione delle nuove molecole, che hanno permesso di mettere a punto una terapia in grado di agire con estrema sicurezza, consentendo l’eradicazione il virus dell’HCV in poche settimane di trattamento, senza effetti collaterali e con capacità di riuscita superiori al 95%. Nel convegno saranno affrontati i mutevoli scenari che si stanno presentando ai clinici e alle strutture sanitarie: la tipologia di pazienti sta lentamente cambiando; il problema adesso è come riuscire fare emergere il “sommerso” della infezione da HCV per centrare l’obiettivo di eradicare l’infezione nel nostro Paese, in accordo con quanto indicato dal WHO”.

EPATITE C IN ITALIA: RESTA ANCORA MOLTO DA FARE

Ad oggi nel mondo ci sono circa 71 milioni di persone affette dal virus dell’epatite C. L’Italia è uno dei Paesi europei maggiormente esposto a questo virus. Oggi, grazie alle nuove terapie antivirali IFN-free (DAA), è possibile raggiungere la clearance virale e dunque la guarigione in oltre il 95% dei casi trattati. Ad oggi i trattamenti antivirali avviati sono circa 180 mila a fronte dei 240 mila previsti per il triennio 2017-2019. Il risultato di sicuro rilievo non deve far passare in secondo piano il lavoro che resta fare: ci sono infatti ancora molti pazienti da trattare, talvolta anche ignari di aver contratto la malattia. Si stima che attualmente oltre 200mila italiani siano rimasti da trattare e che molti di questi possano rischiare una degenerazione sino alla cirrosi epatica o al tumore del fegato, due delle principali complicazioni dell’epatite C, con un costo sociale di centinaia di milioni di euro l’anno legato alla gestione di queste condizioni cliniche. I risultati raggiunti finora costituiscono però un segnale incoraggiante. “I dati delle varie regioni italiane – spiega il Prof. Massimo Andreoni, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Tor Vergata a Roma – permettono di evidenziare che la nostra nazione è tra i nove Paesi al mondo che potrà raggiungere l’obiettivo prefissato dall’organizzazione mondiale della sanità di ridurre del 90% le nuove infezioni e del 65% i decessi dovuti all’epatite virale entro il 2030”.


L’EPATITE C IN SARDEGNA

In Sardegna a fronte di una popolazione residente di 1,653 milioni i soggetti con una storia di infezione da virus C sono circa 10mila. La Regione Sardegna ha dunque una prevalenza dell’1,6%. Con 8 centri di riferimento, i trattamenti sono già in funzione da anni e già è stato possibile eradicare il virus in numerosi pazienti.

“I soggetti cronicamente infetti da virus C (HCV RNA positive) sono circa 8mila, mentre coloro i quali sono colpiti da una malattia epatica evoluta ammontano a 4-5mila – spiega la Professoressa Ivana Maida dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Sassari. – Ad oggi a Sassari sono stati trattati 1728 pazienti, a cui si aggiungono circa altri 3mila curati nel resto dell’isola. Resta però un “sommerso” stimabile al 20%: è dunque fondamentale individuare questi circa 3mila pazienti, talvolta persino ignari della loro condizione e dunque potenziale serbatoio del virus. Un passo fondamentale in tal senso è quello effettuato tra l’azienda ospedaliera universitaria di Sassari (struttura complessa di Malattie Infettive) e l’azienda per la tutela della salute (ATS), che hanno stipulato un accordo che prevede il trattamento dei pazienti seguiti presso i servizi per le dipendenze da droghe a partire dal mese di giugno corrente

IL SOMMERSO

Il sommerso è ancora molto rilevante e per essere individuato richiede una stretta interazione tra le strutture mediche territoriali, i medici di medicina generale e i centri prescrittori, oltre che una semplificazione delle procedure necessarie per poter avviare un trattamento, ad oggi farraginose.

Nell’ambito della ricerca del sommerso, particolare rilievo riveste il trattamento delle cosiddette popolazioni speciali, che rappresentano il target più difficile da raggiungere e in alcuni casi ancora un challenge terapeutico: si tratta di migranti, detenuti, sex worker, tossicodipendenti.

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