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Autonomia del Veneto. Ma il referendum è un fuoco d’artificio

Il 22 ottobre veneti alle urne per una consultazione che farà tanto rumore per nulla. Perché il quesito è così vago che nella pratica non avrà alcuna conseguenza.

Pubblicato:14-06-2017 12:14
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:20

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Adriana Vigneri per wwwytali.com
 

Non è una cattiva idea tornare sul referendum per l’autonomia del Veneto, il cui voto è fissato per il 22 ottobre. A fronte di una esigua minoranza informata, la stragrande maggioranza dei potenziali elettori non sa di che si tratta precisamente. Per capirlo è bene ripercorrere l’origine del quesito referendario.

Quando nel 2001 il Centrosinistra approvò la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione, che regola i rapporti tra Regioni e altre autonomie e Stato, per soddisfare le esigenze di quelle regioni particolarmente “federaliste”, che reclamavano maggiori poteri, introdusse nell’art. 116 un comma, il terzo, che dice così:

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie [segue elencazione delle materie] possono essere attribuite alle altre Regioni [quelle non a statuto speciale], con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119.


L’art. 116, terzo comma, presuppone dunque che innanzitutto la Regione interessata chieda, in una o più materie (ad esempio, il commercio con l’estero) maggiori poteri, quindi più autonomia. Segue l’intesa tra lo Stato e la Regione interessata; quindi una legge apposita.

Il Veneto non lo ha fatto. Non ha avviato la procedura prevista dalla Costituzione per ampliare i propri poteri legislativi. Perché? Perché in realtà non è quello che il suo Presidente vuole. Vuole ben altro, come risulta chiaro dalle leggi regionali che erano state approvate e in cui il Presidente della Giunta veniva autorizzato a interpellare la popolazione su quesiti chiaramente eversivi (il primo) oppure evidentemente incompatibili con la Costituzione italiana, i seguenti:

  • Vuoi che il Veneto diventi una Regione indipendente e sovrana (lr 16/2014)?

  • Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?

  • Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?

  • Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?

  • Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?

  • Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia? (quesiti tutti previsti dal lr 15/2014).

Si vuole consultare la popolazione per giungere all’indipendenza e sovranità del Veneto o quanto meno alla condizione di Regione a statuto speciale o comunque all’ottenimento di maggiori risorse. La Corte costituzionale ha bocciato tutti i quesiti, perché nettamente contrastanti con la Costituzione; tranne quello che qui è stato collocato come ultimo dell’elenco.

È difficile dimenticare che anche quest’ultimo quesito – apparentemente innocuo – fa parte di una linea politica che si colloca al di fuori della Costituzione. Che rappresenta una forma non ammissibile di federalismo, già ampiamente e forse malamente espresso nella revisione costituzionale del 2001. In altri termini, l’ultimo quesito apparentemente innocuo nella sua genericità è in realtà ambiguo, perché tende anch’esso a ottenere quello che a Costituzione vigente non si può avere: uno stato giuridico da regione “quasi-speciale”. Ha l’obiettivo di utilizzare la mole delle risposte positive come strumento di pressione, massa d’urto contro il governo e anche tutte le altre regioni (Lombardia esclusa, s’intende) che sarebbero destinate a rimetterci.

Il Presidente della Lombardia ha copiato e si è accodato. Anche se il quesito lombardo non soffre dell’aura di ambiguità che circonda quello veneto. Entrambi i referendum sono tanto inconsistenti sul piano istituzionale quanto promettenti su quello propagandistico. Perché di questo si tratta: una mossa squisitamente politica.

Non sono affatto sicura che il quesito sottoposto a referendum il 22 ottobre sia pienamente conforme alla Costituzione. La Corte costituzionale ha risposto di sì, perché la formulazione si richiamerebbe al terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, di cui sopra si è detto. Si può replicare che il 116, terzo comma consente di chiedere maggiore autonomia “in una serie di materie elencate”. Invece il quesito regionale è generico, fa capire che si potrebbe aprire una trattativa con lo Stato per acquisire condizioni particolari di autonomia non preventivamente definite.

Non soltanto il testo del quesito non è conforme a Costituzione, ma i cittadini non capiscono di che si tratta e sono autorizzati a immaginarsi i contenuti più vari. In altri termini, è soltanto la conformità all’art. 116 Cost., terzo comma, che consente di dire che il quesito è ammissibile, ma quella conformità non c’è. I cittadini non possono capire che si tratterebbe soltanto di chiedere maggiore libertà legislativa nel governo del territorio o nel commercio con l’estero e via dicendo.

Siamo perfettamente consapevoli che tutto questo importa a una minima parte dell’elettorato del Veneto. Il quale elettorato, a una generica domanda se vuole più autonomia da Roma, con la prospettiva sia pure indeterminata di maggiori poteri e maggiori risorse, è naturalmente portato a rispondere SI – indipendentemente dalla sua collocazione politica. E non esiste parola d’ordine che si possa utilizzare contro, altrettanto efficace da contrapporre a quella sull’autonomia. La “solidarietà nazionale”? Ma figuriamoci!

Non ci sono, quindi, scorciatoie politiche e risposte semplici. Serve a poco anche rimarcare l’inutilità (si fa una domanda la cui risposta è tanto ovvia quanto generica) e l’onerosità a vuoto dell’operazione. Così come siamo consapevoli che di tutto questo non importa nulla al Presidente della Regione, il quale riscuote in ogni caso un successo politico come paladino dell’autonomia veneta.

Per chi non accetta il terreno di gioco di Zaia, non ci sono, dicevamo, risposte semplici, serve lo sforzo di un’analisi più attenta.

Chi è favorevole a utilizzare l’art. 116, terzo comma, per ampliare le competenze del Veneto, per assecondare uno spirito di autonomia radicato nei veneti, dovrebbe votare SI e magari costituire i Comitati per il SI?

Non credo, per le ragioni illustrate sopra. Significa legittimare un referendum nella sostanza truffaldino. Non c’è in questa sede, in questo referendum, una seria volontà di utilizzare il 116, il terreno di gioco del Presidente è tutt’altro.

Dovrebbe votare SI forse chi vuole il Veneto a Statuto speciale, cioè più soldi al Veneto. Ma una forza politica non può improvvisare una posizione così impegnativa. Che personalmente non condivido: il problema delle Regioni a statuto speciale è tutt’altro, che ormai i loro privilegi economici non sono più giustificabili. E poi non è certo possibile trattare un’ipotesi del genere all’interno del solo Veneto.

Votare SI per mero tatticismo, per annacquare la portata eversiva del referendum, non mi pare più una buona idea. Significa rinunciare a fare una vera opposizione. È giusto invece denunciare l’ambiguità e la strumentalità dell’operazione.

Tutto considerato, poiché il terreno di gioco non è accettabile, non partecipare al voto mi sembra la posizione più coerente. Che non è di indifferenza o rifiuto verso le legittime richieste “autonomiste”. Perché non equivalga a indifferenza o rifiuto occorre che si manifesti contemporaneamente la propria piattaforma politica per il Veneto.

Chi non condivide ha dunque poche alternative nell’immediato: non partecipare al voto e convincere che, o si utilizza seriamente il percorso previsto, l’art. 116, terzo comma; oppure, se si vuole, anche qui, seriamente, riaprire il tema del federalismo occorre farlo con tutte le regioni, e non perseguire “il federalismo in una sola regione”.

In verità un’altra via potrebbe esserci: abbiamo visto sopra che la questione di costituzionalità di questo referendum è ormai chiusa. Non così la questione della sua legittimità.

Abbiamo accennato sopra al fatto che il quesito referendario non è né omogeneo né chiaro. I referendum regionali sono regolati dallo Statuto regionale, perché così è richiesto dall’art. 123 Cost. I limiti dei referendum consultivi sono gli stessi dei referendum abrogativi (art. 27, terzo comma, Statuto). Di conseguenza sono inammissibili le richieste di referendum aventi quesiti non omogenei.

Il quesito regionale, per la sua genericità, fa riferimento a tutte le materie di competenza legislativa concorrente, che sono venti, e a tre materie di competenza legislativa esclusiva statale. Le materie cui ci si riferisce sono le più diverse: il commercio con l’estero, il governo del territorio, l’istruzione e l’energia, la tutela della salute, e così via. Si può essere favorevoli all’estensione delle competenze regionali in alcune e non in altre di queste materie. All’elettore veneto si chiede di pronunciarsi senza che si sia preventivamente detto a quali materie, sulle 23 complessive, la Regione Veneto è interessata.

Ne consegue la violazione della libertà e della consapevolezza dell’elettore. E quindi l’illegittimità del referendum. Vicende recenti hanno dimostrato che anche gli strumenti giuridici – e non soltanto quelli politici – possono talvolta venire utili.

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