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Corte giustizia Ue: “Se è vegan non può chiamarsi ‘latte’, ‘formaggio’ o ‘yogurt'”

Al centro della causa era la società tedesca TofuTown, che produce e vende alimenti vegetariani e vegani

Pubblicato:14-06-2017 09:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:20

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ROMA – I prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come “latte“, “crema di latte o panna”, “burro“, “formaggio” e “yogurt“, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale. Ciò vale anche nel caso in cui tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione, salvo un ristretto elenco di eccezioni. Questo, in estrema sintesi, quanto deciso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea di Strasburgo in una causa che vede coinvolto un produttore di alimenti vegetariani e vegani, prodotti puramente vegetali con le denominazioni ‘Soyatoo burro di tofu’, ‘formaggio vegetale’, ‘Veggie-Cheese’, ‘Cream’, e con altre denominazioni simili.

Al centro della causa era la società tedesca TofuTown, che produce appunto alimenti vegetariani e vegani. A portarla davanti ai giudici è stata la Verband Sozialer Wettbewerb, un’associazione tedesca che ha l’obiettivo specifico di contrastare la concorrenza sleale, ritenendo che tale promozione violi la normativa dell’Unione sulle denominazioni per il latte ed i prodotti lattiero-caseari. Ha quindi avviato un’azione inibitoria nei confronti della TofuTown dinanzi al Landgericht Trier (Tribunale regionale di Treviri, Germania).

Ebbene, la Corte ha concluso che le denominazioni ‘latte’, ‘formaggio’ e simili “non possono essere legittimamente impiegate per designare un prodotto puramente vegetale, a meno che tale prodotto non figuri nell’elenco delle eccezioni, circostanza che non ricorre nel caso né della soia né del tofu“. Tra le eccezioni, ad esempio, il prodotto tradizionalmente chiamato ‘creme de riz’ in francese o l’utilizzazione a certe condizioni del termine inglese “cream” per designare bevande alcoliche o zuppe. Nella sentenza di oggi la Corte rileva che, ai fini di commercializzazione e pubblicità, la normativa  riserva la denominazione ‘latte’ unicamente al latte di origine animale, e lo stesso vale per le altre diciture come ‘crema di latte o panna’, ‘chantilly’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, da utilizzare solo in caso di derivati del latte. Ecco perchè, secondo i giudici, non possono essere legittimamente utilizzate per un prodotto puramente vegetale.


La Corte aggiunge, inoltre, che “tale interpretazione della normativa non confligge né con il principio di proporzionalità né con il principio di parità di trattamento”. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Corte osserva in particolare che “l’aggiunta di indicazioni descrittive o esplicative non può escludere con certezza qualsiasi rischio di confusione nella mente del consumatore“. Quanto al principio di parità di trattamento, la Corte constata che “la TofuTown non può invocare una disparità di trattamento affermando che i produttori di alimenti vegetariani o vegani sostitutivi della carne o del pesce non sarebbero soggetti a restrizioni paragonabili a quelle alle quali sono soggetti i produttori di alimenti vegetariani o vegani sostitutivi del latte o dei prodotti lattiero-caseari”. Si tratta, infatti, di prodotti dissimili, soggetti a norme diverse. Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

COLDIRETTI: BENE CORTE UE, STOP INGANNO LATTE E FORMAGGI VEGAN

Inganna i consumatori e fa chiudere le stalle la confusione generata dall’uso della parola latte per bevande vegetali, come quello la soia, che hanno raggiunto in Italia un valore al consumo di 198 milioni con un incremento del 7,4% nell’ultimo anno”. Così la Coldiretti commentando positivamente il pronunciamento della Corte di Giustizia europea sul fatto che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, anche accompagnate da indicazioni aggiuntive sull’origine vegetale del prodotto. I prodotti vegetariani e vegani, sottolinea la Coldiretti, “non possono pertanto essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta“. Si riconosce dunque “il valore delle norme europee che impediscono di chiamare latte ciò che non è di origine animale tranne specifiche eccezioni”.

Quello che oggi chiamiamo “latte di soia” è “una bevanda molto antica, nata probabilmente in Cina, che si ottiene dalla macinazione dei semi di soia in acqua con proprietà nutrizionali e organolettiche- continua la Coldiretti- completamente differenti dal latte di origine animale”. Un discorso che si estende anche ai derivati come burro, yogurt, formaggi e panna che non possono essere ottenuti con prodotti vegetali. Un mercato spinto dalle intolleranze “ma alimentato anche dalle fake news diffuse in rete secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un alimento destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita- avverte l’associazione agricola-. In realtà il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte”. Il filone di pensiero che ritiene opportuno bandire i latticini dall’alimentazione “poggia sul China Study, un’indagine epidemiologica svolta a partire dal 1983 in Cina, i cui risultati sono stati ritenuti inattendibili dalla comunità scientifica e dall”Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro”, conclude Coldiretti.

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