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VIDEO | Studenti disabili, genitori in piazza a protestare: “Troppo poco su assistenza a casa”

I genitori dei ragazzi disabili sono arrabbiati, anche dopo la firma del protocollo: "Troppe poche ore per l'assistenza a casa, e noi dobbiamo essere presenti"

Pubblicato:14-05-2020 15:42
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:19
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BOLOGNA – “Non siamo invisibili“. Le famiglie degli studenti con disabilità scendono in piazza per protestare contro una situazione diventata ormai “insostenibile” e che riguarda le scuole chiuse per l’emergenza coronavirus. Ragazzi che sono a casa da più di due mesi che necessitano di assistenza in maniera continuativa e a cui hanno sopperito i genitori fino ad ora. Ma i problemi di non avere a disposizione un’assistenza specializzata sono tanti e complicano la vita ai genitori, che nel frattempo o sono impossibilitati ad andare a lavorare per seguire i figli o sono alle prese con una disabilità che può anche portare a episodi di violenza o autolesionismo.

Ma “non tutti i genitori sono in grado di fare gli educatori“, spiega Barbara Binazzi vicepresidente dell’associazione di promozione sociale ‘Didi ad astra’, e chi ha la possibilità di tornare a lavoro o praticare lo smart working è di fatto bloccato. Così, radunati tramite Facebook, i genitori e le famiglie di questi studenti si sono organizzati per far sentire la loro voce.






















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Vogliamo che siano riconosciuti i diritti dei nostri figli. Noi chiediamo il supporto domiciliare, o in ambiente sicuro con insegnante di sostegno o con assistente specializzato, in rapporto di uno a uno”. Una richiesta che sembrava essere esaudita con la firma del protocollo, avvenuta ieri sera tra sindacati e istituzioni, per permettere appunto l’inclusione degli studenti disabili e dare la sicurezza necessaria per gli operatori a domicilio. Sembrava, poiché le famiglie lo giudicano “assolutamente inidoneo”, perchè “obbliga i genitori a essere presenti in casa durante l’educativa. Allora qual è il nostro sollievo se dobbiamo stare in casa con gli educatori?- attacca Binazzi- non è un protocollo che possa essere di aiuto”, ma anzi “una riduzione importante dei nostri diritti”.

Il protocollo infatti non sembra risolvere alcune questioni, tra cui la prima è la “parità di ore del piano educativo individualizzato (Pei, ndr)”. Spiega Binazzi: “Io ho bisogno di tot ore al giorno per avere una continuità corretta. Se il piano educativo dice che ho diritto a 18 ore settimanali dell’educatore, perchè il comune me ne dà tre, o cinque, o sei? Perchè il comune modifica autonomamente il Pei? Non esiste. Il Pei è firmato dal gruppo operativo e dev’essere condiviso dalla famiglia. In certi punti del protocollo si dice che il pei viene modificato dagli enti, se necessario dalla famiglia. Se necessario? Noi siamo il fulcro, siamo noi che dobbiamo avere la condivisione del Pei, non altre figure del gruppo operativo”. Un problema che, però, secondo le istituzioni, dovrebbe essere risolto a livello nazionale.

Durante il presidio sono arrivati anche gli assessori comunali Marco Lombardo (Lavoro) ed Elena Gaggioli (Giovani e famiglia), che hanno ascoltato storie e richieste. Lombardo, però, rivendica la firma del protocollo: “Noi chiediamo da due mesi la possibilità di fare interventi domiciliari. È chiaro che bisogna bilanciare due interessi: la continuità dei servizi didattici per i bambini e la sicurezza per i lavoratori. Ecco perchè era fondamentale arrivare a un accordo con le organizzazioni sindacali”. E sulla questione generale rimanda al Governo: “Noi chiediamo si impegni di più su questo tema. Sappiamo che il mondo della disabilità chiede più risposte. Ieri siamo arrivati al protocollo, ma ci sono tante tematiche che rimangono senza risposta: centri estivi, centri diurni… e anche quella di alleviare anche le famiglie rispetto alla gestione dei figli minori con disabilità che non possono usufruire della didattica digitale”.

In particolare, sulla didattica digitale, secondo Lombardo, c’è stato “l’errore iniziale” e cioè pensare che potesse “essere una soluzione per tutti. Bisogna trovare un’alternativa per queste persone”, ipotizzando magari che “gli spazi aperti, i parchi possano essere utilizzati”, anche perchè “finchè non si troverà un vaccino al contagio queste situazioni di difficoltà rischiano di perdurare anche l’anno prossimo”.

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