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ROMA – Sono uscite questa settimana le motivazioni della sentenza di primo grado, del 5 dicembre scorso, che ha condannato all’ergastolo il pluripregiudicato Salvatore Gerace, per l’omicidio del diciottenne Giuseppe Parretta, di 18 anni, il 13 gennaio 2018, nella sede dell’associazione ‘Libere Donne’ di Crotone, fondato dalla mamma Caterina Villirillo.
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“Dalla lettura delle 32 pagine di motivazione- dichiara il legale della famiglia Emanuele Procopio in una nota stampa- si evince con estrema chiarezza che la Corte ha ritenuto che Gerace ha scientemente colpito Giuseppe perché era l’unico maschio presente che poteva opporre resistenza alla sua azione omicidiaria che aveva come obiettivo lo sterminio di tutti i componenti della famiglia Parretta-Villirillo, obiettivo non raggiunto per il solo fatto che la pistola utilizzata si è inceppata”.
Doveva essere una strage: “Ti è andata bene, ero venuto a fare una strage” e ancora “Ho fatto quello che dovevo fare”, Gerace ha detto in quel momento in cui Giuseppe moriva a Catia Villirillo che, insieme alla figlia Benedetta e alla giovane fidanzata del figlio, Ester, sono stati ritenuti testimoni attendibili.
Raggiunta dall’agenzia Dire, di queste motivazioni si è detta soddisfatta perchè confermano “il sistema che c’era dietro“, riferendosi a quel nesso tra la criminalità sul territorio infastidita dall’azione del suo centro antiviolenza che “disturbava gli affari del boss. Queste motivazioni dimostrano che mi ha colpito per la mia attività di ‘Libere Donne’. Mi dispiace che non sia stata riconosciuta invece l’aggravante della crudeltà, come faccio ad accettarlo? Sono contenta dell’ergastolo, ma- ha tenuto a ribadire-. Non devo ringraziare lo Stato perchè ha dato l’ergastolo a Salvatore Gerace, ha fatto il suo dovere“.
Catia Villirillo non molla la sua missione, anche in memoria del figlio che ha dato la vita sulla soglia della casa di ‘Libere Donne’, è amareggiata per “la mancanza di supporto e risposte delle Istituzioni locali, ma anche per il silenzio della rete dei centri antiviolenza. Mi sento abbandonata anche da loro- ha detto- Penso che dentro dovrebbero lavorarci di piu donne che hanno vissuto la violenza, che conoscono sulla loro pelle di che si tratta e che hanno fatto il percorso di uscita”.
In Italia di violenza sulle donne, ha denunciato Villirillo alla Dire, “si parla nei convegni. Bisogna parlare di un codice sanitario per loro; di una casa popolare per le vittime, di un percorso agevolato per il lavoro negli uffici di collocamento. E ancora- ha sottolineato- bisognerebbe studiare forme di sostentamento economico per il primo anno, quando quasi non ci si rende conto di cosa è successo, quando si raccolgono i pezzi per poter ricominciare una vita ‘quasi normale’ con i propri figli, spesso minori, come è accaduto a me con mia figlia Benedetta e il piccolo Paolo, altro testimone oculare, che allora aveva 12 anni e che ho deciso io di non far testimoniare”.
Tutte le ricostruzioni rese dall’assassino Gerace in Tribunale, si legge ancora nella nota, sono state ritenute “fantasiose e inattendibili e i giudici di primo grado nella loro motivazione precisano che è emerso, in maniera pacifica, che il fattore scatenante nell’agire dell’omicida risulta essere rappresentato dalla consegna a Giuseppe Parretta della moto, ritenuta dal Gerace quale corrispettivo dell’attività di spionaggio che sarebbe stata fatta nei suoi confronti” in quel centro antiviolenza contro i suoi traffici. Proprio lì dove Catia Villirillo ha “aiutato tante donne ad uscire dalla spirale della violenza, degli abusi, lì dove criminalità e patriarcato diventano un sistema di potere che umilia le donne e le zittisce”, Giuseppe Parretta ha pagato con la vita per “molto di più che una moto– ha concluso sua madre- ma per il mio impegno pubblico e infatti, come dicono le motivazioni, l’assassino era venuto a fare una strage”.
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