Maysoon Majidi: “Alla premier Meloni dico che il pericolo è il fascismo, non i rifugiati”

Pubblicato:14-02-2025 17:05
Ultimo aggiornamento:14-02-2025 17:05

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ROMA – “Al governo italiano voglio dire che noi rifugiati politici non siamo dei criminali. Le ideologie fascista, razziste e fanatiche, sempre più diffusi nel mondo, sono il vero pericolo, e non le persone che fuggono da quelle ideologie o da altri pericoli, in cerca di sicurezza”. Lo dichiara Maysoon Majidi in una conferenza stampa che si è svolta ieri a Roma, promossa dai deputati Laura Boldrini (Pd) e Marco Grimaldi (Avs). L’attivista curdo-iraniana è stata assolta la scorsa settimana dal Tribunale di Crotone dall’accusa di essere una scafista. La sua vicenda giudiziaria inizia con lo sbarco sulle coste calabresi il 31 dicembre 2023, quando, con la 31enne Marjan Jamali, venne arrestata poiché indicata da alcuni compagni di viaggio come la persona che aveva guidato l’imbarcazione e “distribuito cibo e acqua a bordo”.

Majidi ricorda: “Una volta in carcere, ci ho messo tre mesi e sei giorni prima di leggere un rapporto e scoprire di cosa ero accusata. Lessi che dei testimoni avevano detto che sulla barca avevo distribuito acqua e cibo. Ed è un’accusa che ho sentito ripetere anche al processo contro Jamali”. Testimonianze che, verrà detto poi, erano state raccolte usando un mediatore di lingua araba sebbene molte persone a bordo di quella barca fossero iraniane, e quindi di madrelingua farsi. In seguito diranno di non averla mai accusata di essere la capitana.

Continua la donna: “Il primo ottobre durante l’udienza al giudice, ho spiegato che durante la traversata ho sofferto moltissimo, avevo il mal di mare e le mestruazioni. Non riuscivo a stare in piedi. Ma se avessi avuto la forza, avrei distribuito davvero acqua e cibo perché su quella barca c’erano tante persone tra cui 24 bambini. Se oggi potessi tornare indietro, lo farei”. Sempre nelle aule di tribunale, nel corso delle udienze, ricorda Majidi, “ho scoperto anche che chi sta sulla barca, tramite l’art. 12 bis del decreto Cutro, rischia di essere arrestato. In aula ho sentito dire: ‘Chiunque sia su queste imbarcazioni e decida di compiere qualsiasi azione, anche dettata da motivi umanitari, può essere criminalizzato’. Secondo voi è un articolo volto a fermare i trafficanti oppure i migranti che cercano di venire in Italia?” chiede l’attivista. Il riferimento è all’articolo 12 bis del dl Cutro, che inasprisce le pene previste per il reato di immigrazione clandestina delineato dall’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione. Tale inasprimento è stato contestato da vari organismi della società civile tra cui Amnesty international. “Oggi- denuncia ancora la regista- in Italia 148 persone sono incarcerate per il reato di scafismo. Persone di cui non si parla ma che, come me, hanno visto la loro vita distrutta per un reato che non hanno commesso”.

IL NODO DEL DL CUTRO, CHE “CRIMINALIZZA CHI A BORDO SALVA DALLA DERIVA”

Secondo Laura Boldrini, uno dei problemi nella gestione delle persone che sbarcano sulle nostre coste sta nell’articolo 12 bis del Dl Cutro: “Questo articolo- spiega la parlamentare- considera il profitto un’aggravante del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e non parte integrante della fattispecie. Quindi, se c’è un’imbarcazione di migranti che sta andando alla deriva, e qualcuno a bordo si attiva per riportarla sana e salva a terra – come faremmo tutti – rischia di ritrovarsi questo reato sulle spalle, una volta sbarcato”. Invece, per la deputata Pd “il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si deve delineare col guadagno, e non per essersi trovati in una circostanza di pericolo in cui tutti si adoperebbero per prendere la guida della barca”. E promette: “Daremo battaglia contro questa norma”.

Il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, presente tra i relatori, aggiunte: “Il concetto di scafista è desueto. I criminali sono i trafficanti e stanno sulla terra ferma, si guardano bene dal salire sulle barche, figuriamoci se le pilotano. A bordo, invece, ci sono migranti che nella vita magari sono medici, insegnanti, registi… a cui viene ordinato di tenere il timone e puntare verso terra”. Secondo Majidi, “il decreto Cutro”, che accusa di scafismo chi era sull’imbarcazione, “ha creato questa ansia performativa di dover arrestare a tutti i costi e per questo deve finire”.

IL RACCONTO DELL’ATTIVISTA: “MI ASPETTAVO IL CARCERE IN IRAN, NON IN ITALIA”

“Cè stato un momento in cui ho pensato: se dovrò passare tanto tempo in carcere in Italia, preferisco farlo in Iran, a costo di andare incontro alla pena di morte. Questo perché noi attivisti iraniani, quando decidiamo di lottare, sappiamo che andiamo incontro ad arresto, torture, persino alla pena di morte. Chi finisce in carcere diventa un eroe. Per questo avrei preferito essere incarcerata laggiù piuttosto che in Italia, anche consapevole di andare incontro alla morte. Almeno avrei saputo di cosa mi avrebbero accusato. In Iran già essere una donna è un crimine. Io ho affrontato un regime a viso aperto perciò il carcere è qualcosa che avevo già messo in contro. Ma non in Italia, un posto che ritenevo sicuro”.
Majidi riferisce poi che “nei 302 giorni trascorsi in carcere e negli altri tre mesi in attesa del verdetto finale ho sempre cercato di avere fiducia nella giustizia. Mi ripetevo che sono in un paese in cui la democrazia e il rispetto dei diritti umani sono un pilastro”. Quindi annuncia: “Ieri ho firmato con una casa editrice italiana: scriverò un libro sulla mia storia, dove racconterò tutto quello che mi è successo”.

LA MINORANZA CURDO-IRANIANA, “OPPRESSA E PERSEGUITATA”

La vicenda giudiziaria di Maysoon Majidi riporta all’attenzione anche la questione dell’oppressione subita dalla minoranza curda in Iran. Questa comunità etnica è stata divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran all’indomani della prima guerra mondiale, e subisce persecuzioni in particolare in Turchia e Iran, mentre in Siria è oggetto di attacchi da parte dell’esercito turco. Majidi racconta ancora: “Ho dovuto lasciare l’Iran nel 2019 con mio fratello per via del nostro attivismo politico. Ci siamo spostati nel Kurdistan iracheno, da dove abbiamo continuato il nostro attivismo contro il regime iraniano. Io mi occupavo di diffondere notizie giornalistiche sulle violazioni dei diritti. Nel 2022, dopo che in Iran ci sono state tantissime manifestazioni, il governo dell’Iran ha stretto un accordo con quello del Kurdistan iracheno, che ha bloccato il rinnovo del permesso di soggiorno per i dissidenti politici iraniani sul suolo iracheno”. La regista prosegue: “Ricevevamo già continue minacce dal regime iraniano. Dopo quell’intesa, quattordici dei nostri compagni sono stati uccisi, anche per strada, altri sono stati rimpatriati e condannati a morte. Ci sono state delle vere e proprie retate” nel Kurdistan iracheno. Majidi riferisce ancora: “Vedevamo i missili balistici che passavano sulla nostra testa, così come i droni. Non si trattava di una guerra tra stati ed eserciti, ma di un regime armato fino ai denti che faceva la guerra ai civili”.

Quindi, sollecitata dalla Dire sulla sua adesione al movimento ‘Donna, vita, libertà’, spiega: “‘Donna, vita, libertà’ non è un concetto che inizia con la morte di Mahsa Jina Amini”, la 21enne anche lei curdo-iraniana, che ha perso la vita mentre era in custodia della polizia morale nel settembre del 2022. Un evento che ha suscitato un’ondata di proteste nel Paese contro le autorità di Teheran. “‘Donna, vita, libertà’- prosegue- è una filosofia di vita che discende da tempi lontani, dalla regione della Mesopotamia, come dimostrano testi antichi che introducono questi concetti nella nostra cultura. Da generazioni, i nostri padri e nonni hanno combattuto per l’uguaglianza di genere tra uomo e donna, consapevoli che senza questa uguaglianza non ci può essere libertà”. In conferenza stampa Majidi ha lanciato un appello per la liberazione di Pakhshan Azizi e Verisheh Moradi, attiviste curdo-iraniane incarcerate in Iran e in attesa dell’esecuzione.
Ancora all’agenzia Dire, il portavoce di Amnesty, Riccardo Noury dichiara: “In Iran la minoranza curda è oppressa. I suoi esponenti sono una grande parte delle persone giustiziate a morte o tra i manifestanti uccisi nelle proteste Donna vita libertà, esplose a fine 2022. Il problema è che paga un prezzo doppio: quello di chiedere diritti per sé e di essersi unita a un movimento nazionale”. Noury continua: “Neanche chi fugge nel Kurdistan iracheno se la passa bene. Il problema è questa volontà storica della Turchia di sbarazzarsi in ogni modo della minoranza curda che vive nel suo paese e anche di quelle che vivono nei paesi confinanti, e questo crea difficoltà ai curdi non iracheni – siriani, turchi e iraniani – che vivono nel Kurdistan iracheno”.

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