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Lettera di ‘Femminicidio in vita’ a Draghi: “Tutelare le madri”

Il comitato rivolge un appello al neo premier Mario Draghi perché si inizi ad affrontare il tema della "tutela dei minori" nelle separazioni da maltrattanti e abusanti

Pubblicato:14-02-2021 10:53
Ultimo aggiornamento:14-02-2021 12:00
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ROMA – “Come madri per i figli abbiamo combattuto le più grandi battaglie della nostra vita contro violenti e manipolatori, ma oggi l’uomo violento può avere la meglio attraverso un sottile abuso psicologico: la ‘deprivazione materna’. I figli smettono di chiamarti mamma e cominciano a non vederti più. Il passaggio è questo: richiesta di separazione, ‘conflittualità della coppia genitoriale’ studiata a tavolino, perizie orientate ai soli padri chiamate Ctu, e nell’arco di quattro, sei mesi al massimo, i figli vengono collocati a casa del padre violento oppure in casa famiglia. A sentire le madri che ci sono passate è peggio che essere morte perché il dolore è sempre presente e non può essere superato con il tempo. È come una specie di ‘morte vivente’“. È il Comitato Femminicidio in Vita, di cui è presidente Imma Cusmai, a rivolgere un appello al neo premier Mario Draghi perché si inizi ad affrontare il tema della “tutela dei minori” nelle separazioni da maltrattanti e abusanti.

Non tutti conoscono la tragedia che l’accusa di Pas, Sindrome di Alienazione Parentale, può creare, usata in particolare dagli uomini nelle controversie per l’affidamento negli Stati Uniti e in Australia. Il nostro Comitato ha scoperto che ci sono casi in cui chi persegue questa ‘violenza maschile’- spiega ancora l’organizzazione- contro donne e bambini usa una serie di strategie per indebolire deliberatamente il legame madre-figlio. Con la PAS è sempre colpa della madre. La Sindrome da Alienazione Parentale insiste sul fatto che sono principalmente le donne ad alienare i loro figli dai loro padri, mentre tacciono sui tentativi dei padri di ‘alienare’ i bambini dalle loro madri. Il termine ‘alienazione materna’ lo utilizza la lobby dei padri separati e lo hanno creato, in parte, come furbo alibi per ottenere per la custodia dei figli e uscirne puliti. Non si parla più dei diritti dei figli, ma dei diritti degli uomini violenti che si nascondono dietro ai diritti sacri dei figli”. Continua il Comitato: “L’autore degli abusi usa sia messaggi verbali che azioni concrete per mettere la madre in una posizione per cui anche i figli la possono odiare e disprezzare, e persino rifiutarsi di vederla. Questi messaggi non serve siano basati su verità – il loro potere poggia sulla relazione di potere in cui sono trasmessi. Si tratta di propaganda che opera con forza sui bambini che li inganna fino a pensare che il problema sia solo la mamma. Questi attacchi al senso di realtà dei bambini hanno conseguenze sulla loro salute mentale. In questa campagna contro la madre, l’abusante manipola e instilla nelle sue vittime umilianti stereotipi di donne e di madri. I bambini, stimolati a imitare il comportamento abusivo del loro padre, è probabile che formino futuri rapporti sulla base di questi stereotipi di genere, per cui gli uomini sono incoraggiati a usare il potere e la violenza per i propri fini, e le donne sono degradate e ritenute responsabili di tutti i mali. È una realtà che non può essere più taciuta”.

Prosegue la lettera a Draghi: “Poiché gli stereotipi hanno un peso culturale, i membri della stessa famiglia, i membri della comunità e i professionisti adottano con estrema facilità questo scenario surreale senza molta consapevolezza o atteggiamento critico.Il violento diventa il ‘povero uomo’ con cui si simpatizza con facilità, la madre diventa ‘la strega’ da demonizzare. L’odio che sta dilagando contro donne e bambini è un’attività profondamente politica, che sfida le relazioni di potere esistenti tra ‘silenzi e sottomissione’ con processi che subordinano o scontano certi tipi di esperienze o fonti di informazione, ignorando o reinterpretando il contenuto. In poche parole, ciò che è vero viene capovolto e la madre da vittima diventa carnefice. Ci sembra strano- conclude il Comitato- che una fonte di così profondo dolore non sia degna di una parola che identifichi in Parlamento questa terrificante esperienza”.


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