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Esplosione in una fabbrica di fuochi d’artificio a Messina, tre arresti

I fatti risalgono al 20 novembre del 2019. l'incidente, avvenuto in uno stabilimento industriale di Barcellona Pozzo di Gotto, causò la morte di 5 persone

Pubblicato:14-01-2021 11:45
Ultimo aggiornamento:14-01-2021 11:45

esplosione fuochi d'artificio_messina
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PALERMO – Tre arresti e due sequestri sono stati eseguiti dai carabinieri del Comando provinciale di Messina per l’esplosione di uno stabilimento industriale per lo stoccaggio e la lavorazione di fuochi d’artificio che il 20 novembre del 2019, a Barcellona Pozzo di Gotto, causò la morte di cinque persone. Ai domiciliari per ordine del gip di Barcellona Pozzo di Gotto, che ha accolto le richieste dei pm, e’ finito Vito Costa, di 73 anni, titolare della ditta produttrice di giochi d’artificio ‘Costa Vito e figli’, che nello scoppio perse la moglie. Analoga misura per il 65enne Corrado Bagnato e il figlio, di 38 anni, Antonino Bagnato: questi ultimi sono responsabili della ditta ‘Bottega del ferro’ di Barcellona Pozzo di Gotto.

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Queste le ipotesi di reato: disastro colposo, omicidio colposo plurimo e lesioni personali. Secondo l’accusa i tre sarebbero responsabili anche di violazioni concernenti le norme di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, “con la mancata valutazione dei rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, la mancata informazione, formazione e addestramento dei lavoratori sui rischi cui erano specificamente esposti”, e della mancata consegna dei dispositivi di protezione individuale. Il provvedimento prevede anche il sequestro dei compendi e dei beni delle due aziende, oltre che l’applicazione a carico dei tre indagati della misura interdittiva dell’esercizio dell’attivita’ imprenditoriale per 12 mesi.

Nella tragedia di contrada ‘Pezze Cavalieri’ morirono Giovanni Testaverde, Mohamed Tahar Mannai, Fortunato Porcino e Vito Mazzeo, tutti operai della ‘Bottega del Ferro’, e Venera Mazzeo, moglie di Vito Costa. Rimasero ferite altre due persone.
L’inchiesta – condotta dai pm Rita Barbieri, Matteo De Micheli ed Emanuela Scali, con il coordinamento del procuratore Emanuele Crescenti – ha fatto luce su quanto accadde nell’opificio di 13mila metri quadrati, che era composto da 12 strutture indipendenti realizzate in cemento armato e denominate ‘caselli’.
Sul posto erano in corso dei lavori di adeguamento prescritti dalla Commissione tecnica territoriale per le sostanze esplodenti e finalizzati ad aumentare gli standard di sicurezza del sito: era prevista, infatti, l’installazione di grate di protezione in tutti i ‘caselli’ destinati al deposito dell’esplosivo. Lavori che erano stati affidati da Vito Costa alla ‘Bottega del Ferro’ dei Bagnato, che stava impiegando quel giorno i cinque operai, tra cui lo stesso Antonino Bagnato.


Le esplosioni in sequenza all’interno dei caselli 7 e 8 provocarono la morte dei cinque e il ferimento di Antonino Bagnato e Antonino Costa, che si trovavano nel cantiere. Le indagini hanno portato all’esclusione della “causa elettrica” dello scoppio e, grazie all’acquisizione di diversi documenti e intercettazioni telefoniche, gli investigatori ritengono di avere ricostruito i fatti: l’esplosione avrebbe avuto origine nel fabbricato 7, destinato alla miscelazione dei colori dei giochi pirotecnici, e da qui si sarebbe propagata ai ‘caselli’ 6 e 8: il primo era adibito allo stoccaggio dei giochi pirotecnici, il secondo a laboratorio. La causa dell’esplosione e’ stata individuata in una scintilla nata dall’uso di una elettrosaldatrice e di una smerigliatrice nel fabbricato numero 7, dove si trovavano diversi quintali di esplosivo. La conferma è arrivata da una foto scattata pochi istanti prima della tragedia e ritrovata nella memoria del cellulare di Antonino Bagnato, in cui si vede uno degli operai della ‘Bottega del Ferro’ mentre stringe tra le mani una saldatrice con cui lavorava alla sbarra di scorrimento delle grate installate nel ‘casello’ 7. Per gli inquirenti “non avere rimosso l’esplosivo dalla zona interessata dai lavori costituisce una grave imprudenza” dei tre arrestati. I lavori sull’opificio, secondo la procura di Barcellona Pozzo di Gotto, quindi, sarebbero stati eseguiti “senza le adeguate cautele” da parte dei responsabili, accusati di “imprudenza, negligenza e imperizia”, oltre che di inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

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