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Marta Pagnini: “Chiamateci pure ‘farfalle’, ma siamo atlete”

Corso su donne, media e sport organizzato da Giulia Giornaliste con DireDonne

Pubblicato:14-01-2020 17:30
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:51

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ROMA  – Le atlete italiane sono sempre di più. Vincono medaglie, divertono il pubblico, stupiscono per talento e risultati, dal calcio, al volley, al karate, alla scherma. Ma troppo spesso i media le descrivono vezzeggiandole con nomignoli riduttivi (“le azzurrine” invece de “le azzurre” o le “bambine con le unghie colorate”), concentrando l’attenzione sulla fisicità dei corpi più che sui successi ottenuti (“il trio delle cicciottelle”), o dipingendole come donne che ce l’hanno fatta perché “quasi uomini” o allenate da uomini (atleti “in gonnella”, arbitri “donne”, “donne con le palle”).

Il mondo dell’informazione italiana parla ancora male dello sport al femminile perché è un campo in cui è più facile “essere presi alla gola dagli stereotipi”, dichiara Silvia Garambois, presidente di Giulia Giornaliste, introducendo il corso di formazione organizzato in collaborazione con DireDonne, nella sede nazionale dell’agenzia Dire a Roma, e riconosciuto dall’Ordine dei Giornalisti, sul tema ‘Media Donne Sport: idee guida per una diversa informazione’. È questo anche il titolo del manifesto elaborato dall’associazione delle Giornaliste Unite Libere Autonome e Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti) in vista dei Mondiali di calcio femminile di Francia del 2019, “che va rilanciato per Tokyo 2020. La prima a ribellarsi a se stessa su questo tema è stata la stampa inglese in occasione delle Olimpiadi di Rio del 2016”, spiega Garambois ricordando il decalogo pubblicato per i propri giornalisti dal ‘The Guardian’, che hanno poi ispirato il manifesto di Giulia “per fare ‘buon giornalismo’ sulle discipline sportive femminili”. Punto di partenza della Carta è la necessità di “informare con competenza di merito”, scrivendo delle atlete nello stesso modo in cui si scrive degli atleti. E ancora, per Giulia si dovrebbe: non indugiare su aspetto fisico, look o relazioni sentimentali più di quanto si scriva degli aspetti tecnici delle prestazioni; dare visibilità alle discipline sportive femminili al pari di quelli maschili in termini di spazi nella programmazione pubblica tv e radio e coinvolgere più giornaliste e commentatrici nelle redazioni sportive; declinare al femminile ruoli, funzioni e cariche; ed evidenziare le discriminazioni e le differenze di genere nello sport. È il caso delle “arbitre, 1.649 in Italia, seconda per numero solo alla Germania, ma che ancora soffrono di disparità con gli uomini”, spiega con una videolezione la giornalista sportiva Mara Cinquepalmi illustrando i contenuti del manifesto.

Ma il vero ostacolo, per Laura Moschini dell’Osservatorio interuniversitario di genere, “è la resistenza culturale”, che porta ad una rappresentazione scorretta delle atlete “perché il successo delle donne in un campo maschile mette in pericolo lo stereotipo che quel tipo di sport sia per uomini e basta. Si avverte il successo- precisa la docente- ma allo stesso tempo c’è bisogno di sminuirlo“. E un invito a non sminuire e ridurre l’impegno delle sportive arriva da Marta Pagnini, ex ginnasta e capitana della Nazionale italiana di ginnastica ritmica: “L’appellativo ‘Farfalle’ può andare bene, ma solo se non si intende in modo riduttivo perché la ginnastica ritmica è una disciplina sportiva a tutti gli effetti e perché nove ore di allenamento, sei giorni su sette, non le facciamo per passare il tempo- sottolinea- La nostra disciplina è abbinata sempre allo spettacolo e quando veniamo invitate a manifestazioni importanti viene data per scontata la nostra esibizione. Quando si invita una nuotatrice a raccontare il suo sport però non si porta una piscina”.


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Delle ginnaste di ritmica “non deve rimanere l’immagine di una showgirl”, continua l’atleta, che racconta di essere stata fortunata per non aver “mai subito molestie. Mi auguro che ci siano sempre più donne con ruoli dirigenziali nel mondo dello sport- conclude- perché ne sanno, capiscano e bilanciano caratteristiche maschili spesso non positive a livelli apicali”. Di leadership, pratica sportiva, educazione, ricerca, media, spettatori, tifosi, orientamento sessuale, lotta all’omofobia e alla prostituzione e contrasto ad abusi e violenza sessuale, parla poi la Carta Europea dei Diritti delle Donne nello Sport, nata, nell’ambito del progetto Olympia, 25 anni dopo la pubblicazione della Carta dei Diritti delle Donne della Uisp (1985). “Alcuni articoli della Carta sono stati trasformati in fumetti che noi portiamo nelle scuole- osserva Manuela Claysset responsabile politiche di genere e diritti di Uisp- Noi crediamo che lo sport abbia sia una grande centrale educativa e che, se in questo Paese ancora milioni di persone non fanno sport, sia nostro compito coinvolgere più persone“, per fare dello sport un’occasione per “parlare di diritti, benessere e accoglienza”.

“Speriamo di leggere cose belle- conclude Garambois- Noi pensiamo che la cosa essenziale sia il dubbio. Se quando scriviamo di politica, economia e sport, ci viene il dubbio che si potrebbe scrivere in un altro modo, già questo è un successo. Non ci piacciono più i nostri giornali, ma siamo appassionate del nostro lavoro e crediamo che il valore costituzionale del nostro lavoro vada rispettato fino in fondo”.

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