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L’attivista Sarbar: “In Iran la rivoluzione delle donne è più forte della paura”

"Le persone stanno chiedendo la fine della dittatura e dell'oppressione perché quello che è successo a Mahsa Amini potrebbe capitare a chiunque"

Pubblicato:13-10-2022 16:46
Ultimo aggiornamento:13-10-2022 16:46

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ROMA – “Le mie amiche dall’Iran mi raccontano che la sicurezza che le ragazze e le donne dimostrano nei cortei o nei licei in questi giorni non si era mai vista. La gente sta protestando in oltre cento città del Paese, non ha più paura, e anche gli iraniani all’estero più timorosi ora denunciano. Ma la rivoluzione è delle donne”. Elnaz Sarbar Boczek è una attivista iraniana residente negli Stati Uniti. L’agenzia Dire la contatta per conoscere lo stato delle manifestazioni in corso ormai da quasi un mese.

“PER LO STATO SIAMO CITTADINE DI SERIE B”

“Tutto è cominciato con l’uccisione di Mahsa Amini perché ogni donna sa che potrebbe subire lo stesso destino” dice Sarbar, che ha lasciato l’Iran a 28 anni ma sognava di andare via già da ragazzina perché “ho capito presto che in Iran le donne sono cittadine di serie B. Abbiamo l’obbligo del velo a partire dai 7 anni. Senza siamo escluse da scuola, lavoro e vita sociale. Non possiamo ballare o cantare in pubblico, ottenere la custodia dei figli né lasciare il Paese senza l’autorizzazione del tutore maschio. Non possiamo candidarci alla presidenza della Repubblica”.

Da qui, la decisione di andare via, anche se la passione civile arriva qualche anno dopo, nel 2018: “Venni a sapere che era stata arrestata una ragazza perché pubblicava su Instagram video in cui ballava. Dato che anch’io amo la danza, ho pensato di pubblicare qualcosa ma la paura mi ha fermata, perché mi sono chiesta: ‘E se quando torno in Iran arrestano anche me?’. In quel momento ho realizzato che, sebbene migliaia di chilometri mi separassero dalla Repubblica islamica, ancora la temevo. Per questo ho deciso di diventare una attivista e oggi sono una volontaria al fianco di Masih Alinejad“, una prominente esponente del movimento delle iraniane all’estero per “dare voce a tutte le donne che ci contattano e denunciano abusi”.


“IL SISTEMA CORROTTO CI CONTROLLA”

In Iran, continua Sarbar, il controllo sulla vita delle donne comincia già di prima mattina. “Quando stai per uscire per andare a scuola o al lavoro- racconta- dai sempre un’ultima occhiata allo specchio perché sai che se il tuo abbigliamento ha qualcosa che non va, avrai problemi con la polizia morale, che è ovunque. Arrestano, multano e nel caso di Mahsa, uccidono”.

Il movimento per la liberazione delle donne è iniziato proprio durante i funerali della 22enne, che secondo i familiari è stata uccisa mentre era in custodia della polizia morale. “Il governo nega ma è evidente che è stata picchiata” dice l’attivista. Al corteo funebre, “le donne hanno tolto il velo e cantato ‘la dittatura deve cadere’“. Uno slogan che si registra in tante altre piazze. Sebbene l’Iran sia una Repubblica ed elegga il suo presidente ogni quattro anni, “non è un sistema democratico. Prima di tutto i candidati- spiega Sarbar- vengono approvati dal Consiglio dei guardiani, a sua volta composto per metà da esponenti scelti dalla guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che influenza la scelta anche della seconda metà del Consiglio nonché dei membri del parlamento. Per questo noi denunciamo la dittatura”.

Un sistema che “ha favorito corruzione, diseguaglianze e crisi ambientale. Tante città soffrono una crisi idrica”. E poi “perpetra persecuzioni contro le minoranze religiose o etniche”, come quella dei curdi, a cui Mahsa apparteneva.

“L’OCCIDENTE FERMI LA REPRESSIONE”

Sarbar conclude: “Sebbene migliaia di persone comuni stiano protestando – tra cui tante liceali della Gen-Z – il regime sta reagendo come nelle proteste del 2019: blocco di internet, dispiegamento delle forze di sicurezza e uso di armi da fuoco. Ci sono già morti. La comunità internazionale deve congelare i patrimoni dei leader e fermare la repressione. Dovrà ascoltare le richieste della gente che chiede la fine del regime autocratico, diritti e la separazione tra Stato e religione”.

Leggi anche: La richiesta del Parlamento europeo: “Sanzionare i responsabili della morte di Mahsa Amini”

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