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I nazionalisti russi tra lo spettro del ’17 e la guerra totale in Ucraina

Dopo la "catastrofe" nella regione di Kharkiv un monito ai "traditori" e un omaggio a Stalin

Pubblicato:13-09-2022 16:04
Ultimo aggiornamento:13-09-2022 16:04

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(Foto dal canale Telegram del ministero della Difesa russo)

ROMA – Il nemico è alle porte, ma è persa solo una battaglia e non la guerra. E la “vittoria” è ancora possibile, come accadde con la Svezia, con Napoleone e pure con Hitler, quando la mobilitazione fu “totale”. Tesi rilanciate da voci e autori del nazionalismo russo, più o meno vicino al presidente Vladimir Putin.

IL RICHIAMO ALLE GRANDI BATTAGLIE, DA POLTAVA A STALINGRADO

A richiamare i conflitti cinquecenteschi e ottocenteschi, oltre alla “Grande guerra patriottica” di Josif Stalin, è Altra Russia, il partito nazional-bolscevico fondato dallo scrittore Eduard Limonov. “La sconfitta in battaglia non è la stessa cosa della sconfitta in guerra” la tesi, in riferimento al conflitto in Ucraina. “Dopo Narva ci fu Poltava, dopo Austerlitz ci fu la Berezina e dopo l’estate del 1941 ci furono Stalingrado e l’avanzata fino a Berlino”.
Il punto, secondo il partito, messo al bando nel 2007 per l’anima movimentista ma rivelatore di alcuni umori di matrice nazionalista, è che “la società e lo Stato russo devono capire che la posta in gioco oggi è alta come durante i conflitti del passato con Svezia, Francia e Germania“. L’esercito ucraino, questo l’assunto, non è più quello “incompetente” del 2014 “ma una forza seria, sostenuta dalla potenza economica e militare della Nato”. E secondo i nazional-bolscevichi “adesso non si fermerà ai confini delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk né alla frontiera della Federazione russa”.



La proposta allora è da una parte la “punizione dei responsabili della catastrofe” di Kharkiv, vale a dire la rapida avanzata delle forze di Kiev nel nord-est dell’Ucraina, e dall’altra la “mobilitazione militare e politica”. Un punto, quest’ultimo, non meglio elaborato né quantificato; mentre osservatori e analisti già s’interrogano se l'”operazione speciale” ordinata da Putin il 24 febbraio possa trasformarsi in “una guerra vera e propria” con il richiamo obbligatorio alle armi per almeno una parte dei cittadini russi, una modalità alla quale è stato finora preferito l’arruolamento volontario.

IL NEMICO ALLE PORTE E IL NEMICO INTERNO

Non entra in dettagli operativi neanche Petr Akopov, firma dell’agenzia di stampa Novosti. Il suo editoriale comincia dai rovesci di Kharkiv, presentati come conseguenza di “una sottovalutazione delle capacità e del potenziale dell’Ucraina”, in particolare “del grado di coinvolgimento occidentale nel conflitto”.
Akopov prende atto delle richieste di “fermare l’operazione militare speciale e passare a una guerra a tutti gli effetti, con la mobilitazione di tutto e tutti perché altrimenti non vinceremo”. A essere richiamato è poi lo spettro della Prima guerra mondiale e soprattutto del 1917, la rivoluzione dei bolscevichi di Lenin da sempre invisi a Putin, descritta come la “sconfitta dall’interno dello Stato russo”, associata al “tradimento” e pure al “disfattismo”, che sarebbe ora riproposto a piene mani dai “nemici militari” della Russia. L’antidoto, in attesa di capire quello che sarà, si legge su Novosti, sarebbe la “fiducia” in Putin. “Resta a un livello molto alto” argomenta Akopov, “così come la certezza che il comandante in capo vuole arrivare fino alla vittoria”.

SGOMENTO E CRITICHE CORRONO SU TELEGRAM

Sul fronte nazionalista c’è però chi nutre dubbi o almeno s’interroga sulla stretta attualità. “Il nemico è alle porte di Belgorod” si legge su Rekonkista, profilo Telegram seguito a Mosca, in riferimento a una delle città russe più vicine al confine ucraino. “E’ pronto ad assaltare Krasny Liman da un giorno all’altro e colpisce vicino a Donetsk: non c’è da esultare”.

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