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Il nuovo umanesimo inizia dai servizi educativi per l’infanzia

di Vanna Iori

Pubblicato:13-09-2019 15:10
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:41
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ROMA – In questi giorni stanno riaprendo le scuole ma non per tutti. Secondo un recente studio della Fp Cgil, infatti, sono 1 milione di bambini che, nel nostro Paese, non hanno accesso agli asili nido, e cioè i servizi educativi da 0 a 3 anni. Ne avrebbero diritto 1 milione e 420 mila e questo significa che può usufruire del servizio il 24% della popolazione, ben undici punti sotto la media richiesta dall’UE e che doveva essere raggiunta entro il 2010!

Le ragioni della situazione drammatica in cui versa questa parte fondamentale dell’offerta scolastica sono molteplici: ci sono poche strutture pubbliche, le rette di quelle private o convenzionate sono troppo alte, le donne disoccupate tendono ad occuparsi direttamente dei figli.

I governi, tranne un significativo investimento messo in campo nel 2007 dall’esecutivo Prodi e quello più recente con l’Istituzione di un fondo per il sistema integrato di educazione e istruzione da 0 a 6 anni previsto dalla Legge 107, hanno sempre disinvestito e non hanno mai considerato questo settore strategico per la vita pubblica del Paese. A ciò si aggiunga che i comuni hanno smesso di spendere per questi servizi e dal 2012 la spesa è passata da 1,6 a 1,475 miliardi nel 2016, con variazioni di spesa sorprendenti a livello nazionale: per un bimbo del Trentino si stanziano circa 2 mila euro contro gli 88 per uno calabrese.  A Reggioo Emilia più di un terzo dei dipendenti comunali lavora nei nidi e nelle scuole d’infanzia con un organico di 532 persone, 


Ma in altre aree geografiche il quadro è chiaro e sconfortante. Offerta pubblica depotenziata, maggiore compartecipazione economica delle famiglie. Aumento delle gestioni appaltate ad associazioni ed enti private. La Fp Cgil, commentando i risultati dell’inchiesta ha precisato un punto nodale e cioè che c’è il rischio di pensare che il raggiungimento degli obiettivi sia conseguibile per il semplice effetto del calo demografico. E quindi che si rinvii ancora una stagione di investimenti. Sarebbe un errore imperdonabile:, senza servizi educativi, le donne non saranno incentivate a cercare un impiego e a fare nuovi figli. Esiste, infatti, una profonda correlazione tra la capacità del sistema di inserire le donne nel mondo del lavoro e la possibilità di fare i figli. I Paesi che hanno minori problemi di denatalità sono quelli dove le madri lavorano.

Ma non si tratta solo di un problema di welfare poiché è dimostrato da tutte le indagini come gli investimenti precoci nella prima infanzia siano quelli che hanno un maggiore e più importante ritorno tra gli investimenti nello sviluppo umano e cognitivo della persona. La frequenza al nido è uno dei mezzi più efficaci per combattere la povertà educativa, prevenire i bassi rendimenti scolastici e contrastare la dispersione.

Per questo, abbiamo accolto con grande speranza le parole del premier Conte e il suo impegno ad avviare un significativo piano di investimenti propri sui servizi educativi anche attraverso la definizione dei livelli essenziali di prestazione per l’educazione della prima infanzia validi su tutto il territorio nazionale definiti sui fabbisogni locali, cioè sul numero dei bambini, e in base a questo prevedere risorse adeguate finanziando, accompagnando e monitorando l’applicazione della legge sullo 0-6. Bisogna tornare ad investire sulla scuola e l’educazione deve essere in modo incontrovertibile un dirittto per tutti i bambini e ragazzi dalla nascita fino al diploma. Inutile parlare di nuovo umanesimo senza investimenti in istruzione e educazione.

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