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Xylella, Cnr: “Non più eradicabile, ma gli innesti possono salvare gli ulivi millenari”

La Xlella fastidiosa, il batterio trasportato da una mosca che sta seccando gli ulivi in Puglia, "ormai non è più eradicabile dalla penisola salentina"

Pubblicato:13-09-2018 16:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:33

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ROMA – Innestando varietà di ulivo resistenti alla Xylella sulle piante centenarie e millenarie – irrinunciabile elemento di storia, cultura e paesaggio del Salento – si ottengono risultati positivi che potrebbero salvare le preziose piante. Ne parla Pierfederico La Notte, ricercatore dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (Ipsp) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bari, in audizone alla commissione Agricoltura della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa nella regione Puglia.

Per la “tutela delle piante millenarie e centenarie” c’è “l’evidenza sperimentale empirica”, dice La Notte: è stata infatti “trovata una pianta della varietà Ogliarola, sensibile al contagio, diffusa nel barese, innestata con una varietà resistente”: ebbene “la parte di tronco innestata verde, l’altra secca”, e “se la chioma resiste, resiste tutta la pianta”. Si può quindi provare a “innestare” gli ulivi monumentali “con le varietà resistenti, oggi il Leccino e la ‘F17 Favolosa’, domani un numero piu ampio”, spiega il ricercatore.

Il Cnr sta testando queste varietà, e “nel 2016, senza un finanziamento ma con un’azienda privata che ha messo a disposizione i campi e pagato la manodopera”, si sono realizzati “12 ettari e mezzo sperimentali- dice La Notte- innestando 440 varietà, italiane, estere e selvatiche”. Il campo sperimentale “sembra che ora, presto, avrà una copertura finanziaria della Regione Puglia e ci permetterà di raggiungere altri risultati”, ricorrendo “anche a tecniche di innesti diverse”, conclude.


XYLELLA. CNR: NON PIU’ ERADICABILE, CONVIVENZA CON CULTIVAR RESISTENTI

La Xilella fastidiosa, il batterio trasportato da una mosca che sta seccando gli ulivi in Puglia, “ormai non è più eradicabile dalla penisola salentina”. Questa circostanza, specifica La Notte, questa “consapevolezza” è stata “già acquisita nel 2015 dall’Ue e dal servizio fitosanitario nazionale” per cui si è passati “da una strategia di eradicazione a una strategia di contenimento”.

La soluzione quindi individuare “sistemi economicamente sostenibili” per “consentire di convivere con il batterio nelle zone infette”, una “agricoltura di convivenza con il patogeno”, spiega La Notte.

Una via può essere quella di individuare delle cultivar di olivo che resistano al batterio della Xylella, e su questo sta – tra le altre cose – lavorando il Cnr. Si lavora a selezionare varietà che sono “resistenti” all’infezione “ma si infettano” lo stesso, dettaglia il ricercatore. Sono “varietà che non seccano anche se colpite dalla Xylella”, ad esempio “il Leccino, che non è una varietà nuova ma terza nel Salento” e “un’altra la ‘F17 Favolosa’”. Oltre a resistere all’infezione le varietà ospitano molti meno batteri delle altre cultivar, fornendo quindi un ostacolo, un freno alla loro diffusione.

“Il Leccino ha 100 volte meno cellule batteriche rispetto all’Ogliarella, e la ‘Fs’ ne ha 17 volte meno del Leccino”, spiega Pierfederico La Notte, ricercatore dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante (Ipsp) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bari.

“Tollerante si definisce la pianta che non manifesta sintomi ma ospita il batterio- dettaglia poi rispondendo alle domande dei deputati- in queste la presenza del batterio è molto più bassa”. Quindi “certo, la pianta è potenzialmente fonte di inoculo, quindi c’è la deroga” a piantarle “solo nella zona infetta, dove comunque il batterio è già dappertutto, ma siccome queste varietà sono pessimi serbatoi di inoculo, fungono da barriera naturale alla diffusione” della Xylella.

Infatti “il Leccino è un pessimo ospite” e “può fungere da argine naturale alla malattia” in quanto “i vettori”, le mosche sputacchine, “sul Leccino non riescono ad acquisire il batterio e non riescono quindi a trasmetterlo”.

Di conseguenza ciò ha “un valore epidemiologico, l’ulivo stesso funge da barriera per la diffusione della malattia”, segnala La Notte, e “la sperimentazione con queste varietà sta dando dei risultati positivi”, infatti vediamo “campi affiancati, uno secco” con le varietà tradizionali “e l’altro no”, quello con le varietà resistenti.

“Gli agricoltori salentini hanno la possibilità di ripartire grazie a questo germoplasma”, valuta il ricercatore, la soluzione “non è risolutiva, si tratta per ora solo di due varietà, ma permettono di ripartire”.

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