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Strage Bologna, Fioravanti: “Sono innocente. E non sono mai stato fascista”

"Mi definivo fascista per comodità", dice. E non si sbilancia su Cavallini

Pubblicato:13-06-2018 14:46
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:15
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BOLOGNA – “Sono innocente, non l’ho fatto, ma mi hanno condannato“. Come Francesca Mambro e Luigi Ciavardini prima di lui, Valerio Fioravanti insiste a dichiararsi innocente per quanto riguarda la strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. Fioravanti, che fa questa affermazione rispondendo al pm Antonello Gustapane all’inizio della sua testimonianza in Corte d’Assise a Bologna nell’ambito del processo per concorso nella strage a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, per il momento evita, a differenza di Mambro e Ciavardini, frasi ad effetto, ma si limita a rispondere con atteggiamento molto tranquillo alle domande del pubblico ministero.

“FRANCESCA NON HA MAI SPARATO”

Tra i primi argomenti toccati c’è proprio Francesca Mambro, moglie di Fioravanti e come lui condannata in via definitiva come esecutrice materiale della strage. Sul punto, Fioravanti rileva che “Francesca ha otto ergastoli, ma non vi siete mai accorti, dalle sentenze, che non ha mai sparato. Eppure- prosegue- si è assunta le sue responsabilità”. Mambro, sintetizza Fioravanti, “è stata un capo dei Nar, una donna coraggiosa e coerente, al contrario di tanti altri che si definiscono ‘capi’, ma che poi hanno sempre negato di aver commesso omicidi”.

“NON SONO MAI STATO FASCISTA”

“L’ho sempre detto, io personalmente non sono fascista, però ho una madre, un fratello e una moglie che lo sono. Mio padre, invece, non era fascista, ma sicuramente non era di sinistra”, dice l’ex Nar Valerio Fioravanti durante il processo Cavallini. Poi, precisando meglio la sua posizione, Fioravanti spiega che all’epoca “mi definivo ‘fascista’ tra virgolette, per comodità, ma in realtà molto di noi non lo erano”.


FIORAVANTI DIFENDE LO SPONTANEISMO DEI NAR

“Quando decidemmo di ‘alzare il livello dello scontro‘, per usare un’espressione tipica dei brigatisti, non avevamo il progetto politico di costruire una nuova Italia, ma volevamo resistere alle botte prese e ai morti che avevamo subito“. Nella sua testimonianza in aula, Fioravanti tiene a ribadire la natura ‘spontaneista’ dei Nar, definendoli “i sindacalisti di una generazione abbandonata da tutti” e aggiungendo che “facevamo politica all’interno di un gruppo umano”.

Rispondendo alle domande del pm Antonello Gustapane, Fioravanti spiega che il gruppo di cui faceva parte si era “dedicato alla vendetta, che è un surrogato più simile alla giustizia quando non hai nulla”. Comunque, precisa, “non facevamo solo azioni negative, ma anche positive: uccidevamo qualche nemico, ma aiutavamo anche qualche amico, per non essere dei neri giustizieri”.

“SU CAVALLINI SOSPENDO IL GIUDIZIO”

“Escludo che mio fratello Cristiano, Francesca Mambro e Alessandro Alibrandi abbiano avuto rapporti con i servizi segreti, su Gilberto Cavallini mi consenta di non rispondere, perché non lo vedo da 35 anni, non conosco il suo percorso e alcune sue risposte mi sembrano strane”, per cui su di lui “sospendo il giudizio”. Valerio Fioravanti, a Bologna per testimoniare nell’ambito del processo a carico di Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980, non è troppo tenero nei suoi confronti per quanto riguarda i rapporti tra Nar e servizi, pur precisando che le sue perplessità “non riguardano episodi specifici”.

Anche perché, aggiunge, “se a quei tempi avessimo saputo di rapporti tra lui e i servizi deviati oggi non saremmo qui a fare questo processo, perché ci avremmo già pensato noi”. L’unico punto oscuro sul fronte Cavallini richiamato da Fioravanti è quello relativo a Carlo Digilio, l’armiere di Ordine nuovo noto anche come Zio Otto, poi diventato collaboratore di giustizia. Cavallini, spiega, “all’epoca mi parlò di Zio Otto, ma non gli feci ulteriori domande sulla sua identità perché ognuno di noi aveva le proprie ‘carte coperte’ e non stava bene fare troppe domande”. E visto che, prosegue Fioravanti, “io sono sicuro al 99% che Digilio fosse Zio Otto, mentre Cavallini lo nega, la cosa mi turba molto, anche se immagino che lo faccia per allontanare da sé l’errore di aver avuto rapporti con Digilio, che quando fu interrogato dal giudice Guido Salvini disse di aver collaborato per 20 anni con i servizi segreti militari e non”. Per questo, chiude Fioravanti, “su Cavallini, che peraltro aiutò Carlo Maria Maggi (leader veneto di Ordine nuovo, ndr) ad uscire dal processo sulla strage di piazza Fontana invece di aiutare noi, sospendo il giudizio”. Dall’ex Nar arriva inoltre un ‘no’ netto quando il pm Antonello Gustapane gli chiede se abbia mai avuto rapporti con il capo della P2 Licio Gelli.

di Andrea Mari e Luca Donigaglia

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