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Facebook, non solo Cambridge Analytica: è nei guai anche in Asia

E' il caso di Vietnam, Cambogia e Filippine, dove difensori dei diritti umani, giornalisti e oppositori politici sostengono che i nuovi algoritmi e i meccanismi di "segnalazione dei contenuti inappropriati" siano diventati un'arma dei governi per controllare e imbavagliare il dissenso

Pubblicato:13-04-2018 14:34
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 12:45

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ROMA – I problemi per Mark Zuckerberg non si limiterebbero ai profili violati da Cambridge Analytica. Molte le accuse di censura e complicita’ con i governi, un fenomeno che coinvolge in particolare l’Asia. E’ il caso di Vietnam, Cambogia e Filippine, dove difensori dei diritti umani, giornalisti e oppositori politici sostengono che i nuovi algoritmi e i meccanismi di “segnalazione dei contenuti inappropriati” siano diventati un’arma dei governi per controllare e imbavagliare il dissenso.

Di recente, il governo del Vietnam ha rivelato di aver creato un’intera divisione speciale per la sicurezza informatica. Per gli attivisti, il lavoro di questa unita’ consisterebbe nel gestire centinaia di profili falsi, che segnalando i contenuti contrari alle politiche di Hanoi ne otterebbe da Facebook l’automatico oscuramento.


Emblematico anche il caso della Cambogia, dove a luglio ci saranno le elezioni politiche segnate dalle “minacce” del premier uscente a chi votera’ per il partito di opposizione. Il cambio di algoritmo nella selezione delle notizie che finiscono nelle homepage degli utenti, starebbe tagliando fuori i contenuti delle pagine. Preoccupati i giornali o i gruppi della societa’ civile, che temono un duro colpo per le voci della dissidenza.

Altro fenomeno a cui Facebook si presterebbe suo malgrado e’ quello di attirare le critiche dei governi: Myanmar e Sri Lanka sostengono che il social network abbia potenzaito le ostilita’ tra gruppi etnici. Qualche osservatore pero’ teme che dietro a “motivazioni credibili e accettabili”, le istituzioni adottino misure volte a limitare le attivita’ sul web. Qualcosa di simile e’ gia’ avvenuto in Malesia dove, a pochi mesi dalle elezioni generali, il Parlamento ha approvato una legge che prevede fino a sei anni di reclusione per chi diffonde “bufale” sul web.
Desta sospetti infine quanto detto dal fondatore di Facebook, ascoltato per due giorni dal Congresso americano per la vicenda Camridge Analytica: i giornalisti della stampa straniera hanno scovato tra i suoi appunti un riferimento alla competizione tra il mercato dell’high tech cinese e quello statunitense. “Spazzare via Facebook? Le societa’ di informatica statunitensi sono un valore chiave per l’America, il loro indebolimento rafforzerebbe le societa’ cinesi”, si legge in una fotografia “rubata”. Un punto che lo stesso Zuckerberg ha sostenuto davanti a deputati e senatori. Il problema – osserva la testata ‘Quarz’ – e’ che tali affermazioni contraddicono la “politica conciliante” che Zuckerberg sta avendo nei confronti delle autorita’ cinesi, le quali dal 2009 mantengono il blocco su Facebook proprio per rafforzare la censura sul web.
Inoltre, il settore su cui le aziende informatiche americane risultano piu’ indietro e’ quello dei software di riconoscimento facciale. Sul software invece la Cina e’ all’avanguardia: Pechino lo utilizza anche a fini di “sicurezza pubblica”. Incoraggiare allora a colmare quel gap andrebbe contro le posizioni dei difensori dei diritti umani, che vi intravedono un’altra forma di controllo del governo praticamente ineludibile.

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