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Strage di Bologna, l’ex capo del Sisde Quintino Spella indagato per depistaggio

Avrebbe negato di aver avuto un colloquio con l’allora giudice di Sorveglianza Giovanni Tamburino

Pubblicato:13-03-2019 15:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 14:13
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giustizia
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BOLOGNA – Sarebbe finito sotto indagine per depistaggio per aver negato di aver avuto un colloquio con l’allora giudice di Sorveglianza Giovanni Tamburino, in merito alle dichiarazioni rese a quest’ultimo dall’estremista di destra Luigi Vettore Presilio, l’ex generale dei Carabinieri Quintino Spella, che nel 1980 era capo del centro Sisde di Padova.

Questa, a quanto si apprende, la motivazione in base a cui Spella, oggi 90enne, si trova indagato nell’ambito dell’inchiesta della Procura generale di Bologna sui mandanti della strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria del capoluogo emiliano. L’ex ufficiale avrebbe dovuto testimoniare oggi in Corte d’Assise a Bologna nell’ambito del processo per concorso nella strage a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, ma non si è presentato per motivi di salute, e mentre spiegava le ragioni della sua assenza la sua legale Luisa Granata ha fatto sapere alla Corte che il suo assistito è, appunto, indagato dalla Procura generale.

Spella è finito sotto indagine il 25 gennaio scorso, perché mentre veniva sentito come persona informata sui fatti al Comando della Guardia di finanza di Padova ha negato quanto riferito da Tamburino a più riprese, e ripetuto dal magistrato anche il 30 gennaio nella sua testimonianza in Corte d’Assise. Tamburino sostiene infatti che nel luglio del 1980 Vettore Presilio gli disse che, di lì a poco, sarebbe stato realizzato un attentato con una bomba “di cui avrebbero parlato i giornali di tutto il mondo”, aggiungendo di essersi “rivolto ai Carabinieri, dopo il colloquio con Presilio, per informarli delle sue dichiarazioni” e che, a quel punto, gli fu “suggerito di contattare i servizi, cosa che feci, rivolgendomi a quello che, all’epoca, mi pare fosse il capo o il vicecapo del Centro di Padova”, vale a dire Spella.


L’ex generale, invece, ha negato di aver parlato con Tamburino delle dichiarazioni di Presilio, a quanto pare aggiungendo che se un episodio simile fosse avvenuto se ne sarebbe ricordato, visto che tra l’altro il fatto che un magistrato di Sorveglianza si rivolgesse ai Servizi era piuttosto insolito. A quel punto, sempre a quanto si apprende, il suo colloquio con i magistrati della Procura generale è stato interrotto, Spella si è ritrovato indagato per depistaggio e gli è stato notificato l’avviso di garanzia.

REVOCATA TESTIMONIANZA SPELLA: È SUPERFLUA

L’ex generale dei Carabinieri Quintino Spella non testimonierà nel processo per concorso nella strage a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini. Lo ha deciso, nonostante i difensori di Cavallini e i legali di parte civile abbiano insistito per farlo deporre nella prossima udienza, il presidente della Corte d’Assise bolognese, Michele Leoni, rilevando che Spella sarebbe un testimone “superfluo”, in quanto “ha dichiarato di non sapere nulla in ordine a quanto richiestogli (vale a dire il colloquio con il magistrato Giovanni Tamburino su quanto detto a quest’ultimo dall’estremista di destra Luigi Vettore Presilio, che nel luglio 1980 gli preannunciò che ci sarebbe stato un attentato dinamitardo, ndr) e ha fatto sapere che si avvarrà della facoltà di non rispondere”.

Al suo posto sarà sentito, nella prossima udienza in programma alle 10 di martedì 26 marzo, l’allora comandante dei Carabinieri di Padova, il colonnello Azzolini, a cui Tamburino dice di essersi rivolto dopo aver raccolto le confidenze di Vettore Presilio e che avrebbe consigliato al magistrato di contattare i Servizi. Questo, argomenta Gabriele Bordoni, legale di Cavallini che ha richiesto la testimonianza, sempre che “Azzolini non sia a sua volta indagato nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti”. 

Oltre all’ufficiale dei Carabinieri, per l’udienza del 26 marzo saranno convocati anche il maggiore Vittorio Pagliccia e il colonnello Massimo Giraudo del Ros, che nell’agosto del 2000 scrissero una nota riguardante Adalberto Titta, esponente del servizio segreto parallelo noto come Anello. I legali di parte civile, in realtà, avrebbero voluto che venisse acquisita direttamente la nota stilata dai due, ma la Procura si è opposta perché, afferma il pm Enrico Cieri, “il documento non aggiunge niente a quanto già detto sul tema”. Da parte sua, la Procura propone di acquisire, “se il tema dell’Anello è ritenuto rilevante, il rapporto conclusivo sulla questione, firmato nel 2002 dal generale del Ros Paolo Scriccia”. Una proposta che fa innervosire Leoni, che ricorda ai pm che “qui non stiamo facendo la storia di Titta o dell’Anello: è uscito un tema da approfondire, quello dei due numeri di telefono contenuti in un’agenda di Cavallini”, che secondo i legali di parte civile fanno riferimento all’ufficio Nato della Sip di via Mantegna a Milano. Ma “visto che vi opponete alla produzione del documento”, sbotta il presidente della Corte, “ci dovremo sobbarcare una citazione inutile per farlo leggere in aula”. Anzi, due citazioni, visto che l’avvocato di parte civile Nicola Brigida chiede poi di convocare non solo Pagliccia, ma anche Giraudo. Il giudice acconsente, ma non rinuncia a una battuta sarcastica, dicendo: “Diremo loro di portarsi gli occhiali, così non rischieremo che leggano cose diverse”. Sempre Leoni stabilisce anche di acquisire dalla Biblioteca civica di Padova, con “carattere di assoluta urgenza”, tutti gli articoli relativi all’uccisione, avvenuta l’1 agosto 1980, della guardia giurata Giuseppe Torresin, argomento toccato nella scorsa udienza durante l’esame di Cavallini. 

Nell’udienza odierna sono poi stati sentiti, sempre riguardo ai due numeri contenuti nell’agenda di Cavallini e forse legati ai Servizi, il funzionario della Telecom di via Mantegna a Milano che ha fatto la ricerca sui numeri, Simone Carelli, e i due finanzieri che hanno fatto gli ordini di esibizione in via Mantegna su delega della Procura generale di Bologna, Cataldo Scarangella e Carmine Lo Perfido. In particolare, Carelli conferma che il 342111 era, molto probabilmente, una linea prova lavoro, viste le ultime tre cifre, ma sostanzialmente dice di non avere elementi per dire che fossero numeri riservati, se non il fatto che “questo risulta nella vecchia documentazione presentata dalla Guardia di finanza”. Carelli nega anche di aver mai sentito nominare il generale Claudiano Pavese, noto anche con l’alias Marcello Barbazza, che come ricorda il legale di parte civile Andrea Speranzoni “fu responsabile dell’ufficio Nato della Sip dal 1972 al 1988”. Un’informazione, quest’ultima, ricavata proprio dalla nota del Ros che la Corte ha deciso di non ammettere, anche se Leoni, durante il suo battibecco con i pm, fa capire di considerare Pavese un personaggio tutt’altro che ininfluente, visto che “faceva da Cicerone a Sergio Picciafuoco”, criminale comune considerato vicino ai Nar, presente in stazione il giorno della strage e prima condannato, poi definitivamente assolto dall’accusa di essere uno degli esecutori dell’attentato.

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