
I giudici israeliani del tribunale militare nella base di Ofer, in Cisgiordania, hanno disposto un processo a porte chiuse per Ahed Tamimi, l’adolescente palestinese in carcere da fine dicembre per aver schiaffeggiato due militari israeliani.
La ragazza, riferisce la stampa locale, è arrivata in aula in divisa da carcerata e con le manette ai polsi e alle caviglie
I giornalisti, una volta fatti uscire dall’aula, hanno ascoltato le parole del suo legale, Gaby Lasky: “Per i giudici non è una cosa buona che voi siate qui” ha detto l’avvocato. “Hanno capito che la gente sta seguendo il caso di Ahed, si rendono conto di stare infrangendo i suoi diritti e che non dovrebbe affatto subire un processo. Un procedimento a porte chiuse è il modo migliore per far sì che tutto si svolga lontano dai riflettori”.
Sulla giovane pesano 12 capi d’accusa tra cui la recente aggressione ai due soldati israeliani
Sulla giovane, che ha compiuto 17 anni il mese scorso, secondo il quotidiano ‘Guardian’ pesano 12 capi d’accusa tra cui non solo la recente aggressione ai due soldati, ma anche fatti risalenti al 2016 tra cui il presunto lancio di pietre e l’incitazione alla violenza. Potrebbe pertanto incorrere in una sentenza di condanna a diversi anni di reclusione.
Ahed Tamimi, già nota per il suo impegno in difesa della causa palestinese, compare in un video, divenuto poi virale in internet, mentre colpisce al volto due militari a Nabi Saleh, un villaggio della Cisgiordania – nei Territori palestinesi – in cui erano in corso manifestazioni di protesta per la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme la capitale di Israele. Leggi qui
Secondo la famiglia la reazione dell’adolescente è seguita al grave ferimento della cugina, colpita da una pallottola di gomma alla testa dai militari
In carcere sono finite anche sua madre e un’altra cugina. L’avvocato della giovane in aula ha cercato di smontare l’impianto accusatorio sostenendo che ad essere illegale sarebbe “prima di tutto la presenza di un esercito occupante, quello israeliano, in territorio palestinese”. Il padre della ragazza, Bassem, a sua volta una figura storica dell’attivismo palestinese, si è detto pessimista dal momento che il processo si sta svolgendo in un tribunale militare, che “è parte dell’Occupazione”.
Dal momento che era disarmata la ragazza non poteva rappresentare alcuna minaccia
“Dal momento che era disarmata, questa ragazza non poteva rappresentare alcuna minaccia durante il diverbio coi due militari israeliani, che invece erano pesantemente armati ed equipaggiati”, il commento di Magdalena Mughrabi, vicedirettore di Amnesty International per il Medio oriente e l’Africa. “Ancora una volta – ha aggiunto il responsabile – le autorità israeliane hanno risposto a una provocazione da parte di ragazzini palestinesi in modo completamente sproporzionato rispetto ai fatti in questione”.

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