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Mamma Villirillo: “Tre anni dall’assassinio di Giuseppe, istituzioni mai viste”

La mamma coraggio annuncia che, appena sarà possibile, aprirà ai giovani le porte dell'associazione in cui realizzerà una vera e propria 'Casa della memoria' per le vittime di reato

Pubblicato:13-01-2021 18:05
Ultimo aggiornamento:16-11-2022 11:35
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giuseppe_villirillo
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ROMA – “Giuseppe, un ragazzo esile e disarmato, è stato colpito al cuore quattro volte. Il suo assassino ha voluto uccidermi due volte. Ho questa scena davanti agli occhi, insieme al dolore dei miei due figli testimoni, tutti i giorni”. È Catia Villirillo, mamma coraggio, a ricordare suo figlio assassinato il 13 gennaio 2018 dal pluripregiudicato Salvatore Gerace nella sede dell’associazione LibereDonne, a Crotone, da lei fondata per difendere le donne dalla violenza, per sensibilizzare alla legalità, per educare i giovani. Un impegno che vedeva coinvolto in prima persona anche il suo primogenito, Giuseppe: “Noi- ha detto in una diretta Fb con la Dire per ricordare suo figlio- con l’associazione davamo fastidio. Lui faceva avvicinare tanti giovani e al Gerace dava fastidio il viavai delle forze dell’ordine. Uccidere in pieno giorno è stata una sfida allo Stato”.

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L’APPELLO ALLE ISTITUZIONI

Mamma Villirillo ha anche partecipato, proprio per portare avanti il suo impegno sociale, alle ultime amministrative a Crotone, ma un’ischemia l’ha fermata durante la campagna elettorale. Oggi sta recuperando e ha deciso di non smettere il suo impegno con l’associazione. Continuerà “a fare rete con altre mamme, vittime di reato come lei” e non smetterà di denunciare “l’abbandono delle Istituzioni. Non le ho mai viste- ha detto- tantomeno quelle calabresi. L’unica lettera che ho ricevuto è stata quella del ministro Bonafede per il premio Parretta sulla legalità. La Regione Calabria è stata terribile e oggi- ha annunciato nel corso della diretta- ho scritto un terzo appello al Presidente Mattarella“. La situazione delle vittime di reato in Italia è stata anche di recente denunciata dall’impegno della LIDU, Lega italiana dei diritti dell’uomo. “Le famiglie- ha spiegato mamma Villirillo– quando si apre questo mondo di dolore stanno sempre peggio e gli aiuti dovrebbero arrivare subito. Lo Stato deve intervenire in modo celere: non siamo né orfane né vedove, né vittime di mafia, né orfani di guerra. Come vittime di reato siamo invisibili è importante che la stampa ci dia voce”.

LA CASA DELLA MEMORIA PER LE VITTIME DI REATO

L’assassino di Giuseppe è ricorso in appello. “Abbiamo il 21 gennaio- ha ricordato- il ricorso in appello. Mi ritroverò di nuovo in quelle fredde aule davanti al carnefice di mio figlio. Quello che fa più male è che le vittime, coloro che hanno subito, non hanno parola. Assistiamo a tutte le offese che arrivano dagli assassini dei nostri figli, da quello che dicono gli avvocati che li difendono e sembra quasi che lo Stato garantisca chi fa del male mentre le famiglie vengono lasciate sole e abbandonate nel loro dolore”. Mamma Villirillo non arretra dall’insegnamento dato ai suoi figli e ai due che sta crescendo: “Audacia, coraggio e legalità” i suoi cardini. “Io la mia parte l’ho fatta”, ha rivendicato, anche con quei “NO” con cui li ha cresciuti da sola, perché orfani di padre. Per questo Catia desidera aprire ai giovani, appena sarà possibile, le porte dell’associazione in cui realizzerà una vera e propria ‘Casa della memoria’ per le vittime di reato: “Basta parole- ha detto- i ragazzi devono vedere e toccare con mano. Con le altre mamme continuiamo a fare rete per presentare alla Corte di Strasburgo un documento su quello che l’Italia non ha ancora affrontato”. “Ripartiamo dalla rieducazione dei giovani”, ha insistito Villirillo, che il ricordo del suo Giuseppe non la separa mai dagli insegnamenti con cui l’ha cresciuto: “Metteva il mio impegno sociale nella sua vita. Non lasciava nessuno nell’angolo.
Era cresciuto senza padre e aveva grande rispetto per le regole e le donne, era un gentleman ed era al mio fianco… Se mi vedeva con le buste della spesa per strada, lasciava tutto e veniva ad aiutarmi. Mio figlio era così”.

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