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Reality, ‘mala’ e cucina sono gli ingredienti di ‘Zodiaco Street Food’

Intervista allo scrittore padovano Heman Zed in occasione dell'uscita della sua quinta opera pubblicata da Neo edizioni, ambientata nella provincia veneta dove vive il protagonista Romeo, un malavitoso ignorante e truffaldino, sempre pronto a buttarsi in nuovi affari

Pubblicato:13-01-2021 13:26
Ultimo aggiornamento:13-01-2021 13:44

Copertina zodiaco street food
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BOLOGNA – Se non perdete neanche un film dei fratelli Coen, se non potete fare a meno dei fumetti, se amate i colpi di scena e la tenerezza mischiata a ferocia e ironia, ‘Zodiaco street food’ è il libro giusto. Quinta opera di Heman Zed (Neo edizioni), ‘Zodiaco street food’ ci porta nella provincia veneta in cui si muove Romeo Marconato, il protagonista malavitoso, ignorante, arricchitosi in modo non proprio cristallino e sempre pronto a fiutare un nuovo affare. Ha una moglie, Gigliola, che detesta, abbondantemente ricambiato. E e un figlio, Moreno, mai tornato del tutto da un ‘viaggio’ di allucinogeni. Ma Romeo sembra più interessato a Zodiaco, un franchising di furgoni per panini, uno per ogni segno zodiacale. Ed è proprio grazie a Zodiaco che Romeo viene notato da due autori televisivi che lo ingaggiano per la prossima stagione di un reality che ha come protagonista lo chef Vitiello. Ma niente andrà come previsto. Il romanzo si muove tra azione e sentimento, tratteggiando personaggi che a tutti, o quasi tutti noi, sembra di aver incrociato nella vita almeno una volta perché veri (alcuni esistiti davvero) o reali. Ed è questa una delle tante forze di Zodiaco street food.

Uno dei tratti più notevoli del libro è la capacità di far esprimere ogni protagonista con un timbro diverso, quello che rende la complessità della personalità di ciascuno. E così c’è Romeo che parla proprio come ci si aspetterebbe da una persona poco istruita e che però fesso non si fa fare. O Moreno, che ha il linguaggio di un bambino. È un’operazione molto difficile?

heman zed

Sì, ma viene resa meno difficile con un grosso lavoro a monte che si fa sui personaggi. Prima di metterli in scena, li costruisco nella maniera più esaustiva possibile e do loro un profilo psicologico più completo possibile, creando una loro storia personale. Quindi in questa storia personale c’è anche la loro estrazione, la loro scolarizzazione, la loro esperienza. Romeo è quel che è, ha una scolarizzazione medio bassa, l’ambiente di provenienza è quello del basso Veneto. E cambia il linguaggio dei due autori televisivi che è più cosmopolita, ha una maggiore ricchezza di termini. È insomma un lavoro che faccio a monte abbastanza grosso, perché quando poi parto con la scrittura devo essere abbastanza sicuro della risposta dei personaggi; della loro risposta linguistica, della loro risposta emotiva, della loro risposta in termini di azione. Romeo ha una caratteristica che lo rende unico: usa la persona al singolare e i verbi al plurale. Un particolare che ho preso dalla realtà. C’è una persona che ho conosciuto e che aveva una sgrammaticatura terribilmente teatrale e parlando con uno straniero gli diceva: ‘Te non siete un paese civile. Te siete come i terroni’. Ho pensato: ecco, prima o poi lui entra in un romanzo. Ed è stato il punto di partenza di Romeo: ho pensato che fosse teatro puro, dentro c’erano l’ignoranza, l’inconsapevolezza, il razzismo.


Mi ha colpito molto la ferocia, soprattutto dei dialoghi tra Romeo e la moglie. Ma oltre ai dialoghi ci sono anche azioni feroci, e c’è la vendetta. È così il genere umano secondo te?

Il romanzo è una specie di fotografia dilatata, una fotografia estesa. Non è che vedo gli umani feroci, ci vedo anche feroci. In questa fotografia c’è posto per tutto, anche per la ferocia, perché non ne siamo immuni. Il compito del narratore è anche di andare a scovare nella melmetta del genere umano, in quella melmetta che tutti abbiamo e non vorremmo mai uscisse, ma esce. Da questo punto di vista nessuno è innocente, perché sfido a dire che almeno una volta nella vita non si abbia avuto un pensiero basso, un pensiero di ferocia nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Quindi non ci vedo solo feroci, ma ci vedo anche feroci. È una funzione che ci è data anche in quanto specie animale del pianeta. Anche gli animali sono feroci, ma non sono solo feroci. La differenza è che nell’animale la ferocia è quasi sempre legata a una questione di sopravvivenza per sé, per la sua specie, per il suo branco. Quello che dovrebbe essere il nostro punto di forza come animale umano, è diventato invece il nostro punto debole. La ferocia non è diventata più istintiva, ma può essere programmata. E allora la ferocia programmata diventa omicidio, diventa genocidio, diventa strage. È questo che ci differenzia dagli animali: la ferocia non è più finalizzata alla sopravvivenza della specie, del branco, ma all’offesa dell’altro. D’altronde siamo l’unica specie che è riuscita a rendere quasi inabitabile l’ambiente in cui vive.

Romeo, il protagonista, fa un certo percorso. Non sapeva niente del figlio e poi a un certo punto è quello ce se ne prende davvero cura.

Esatto, e torniamo al discorso di prima. Romeo è buono? No, non è solo quello, perché si prende cura del figlio, ma è anche il pezzo di merda che sappiamo, è anche il trafficone, l’arruffone. siamo un po’ tutto. La differenza qual è? Romeo, che è più istinto che ragione, non si vergogna molto di tutto ciò. Quindi è facilitato a mostrare la sua strafottenza, la sua arroganza, la sua ferocia. Ma è anche, però, quello che a un certo punto non si vergogna del figlio e cerca per lui una situazione in cui possa trovarsi bene.

Copertina zodiaco street food

Romeo dunque è il personaggio più vero? Per certi versi il migliore?

Dal punto di vista narrativo è il personaggio più completo. Migliore non lo so. Migliore di chi? Certo, rispetto ad altri ha una forma di etica che è più riferita al legame che ha con la terra che ad altre cose.

Il libro racconta anche di un reality incentrato sull’ennesimo chef superstar. Reality visto soprattutto con gli occhi dei due autori. È una critica a quello che oggi ci offre la tv?

I due autori fanno il loro lavoro, ci propinano quello che la gente vuole vedere. Hanno per le mani questo reality culinario, e quando vediamo un reality culinario sappiamo benissimo che non ci frega niente delle ricette, non andremo mai a realizzarle. Quello che vogliamo vedere è sangue e arena, quando uno riesce a mettere in difficoltà gli altri, quando lo chef di turno lo massacra e c’è la reazione emotiva del pianto o il vaffanculo; quello ci interessa. Ci sono sempre più programmi di cucina e sempre meno gente che cucina e va sul piatto pronto. I due autori lo sanno e non fanno altro che adeguarsi alla richiesta del pubblico che è sempre più una richiesta al ribasso. Vogliamo vedere che si azzuffano: perché nonostante si sappia sempre come va a finire invitano sempre Sgarbi? Io che invito Sgarbi so già come va a finire e i conduttori fanno di tutto per portarlo sul terreno a lui più congeniale, ovvero lo sbroccamento. Se invece ci va Gino Strada a raccontare cosa ha fatto Emergency negli ultimi anni…che palle, che pippone. Mettere il cuoco superstar in gara col rozzo paninaro mezzo gangster: hai voglia che non ti viene fuori un conflitto epocale che tiene tutti ancorati alla televisione. E chi se ne frega se quello fa dei semplici panini.

Parliamo delle donne, che non escono benissimo da questo romanzo. Attaccate ai soldi, doppiogiochiste e traditrici. Che cosa ti hanno fatto?

A me non hanno fatto niente. Vivo felicemente con due donne, con una da 20 anni e l’altra da 18 (moglie e figlia, ndr). Ho amiche donne da moltissimi anni, non mi hanno fatto nulla. Non ne faccio una questione di genere, ne faccio una questione di potere. Nella storia abbiamo avuto centinaia di casi in cui quando una donna arriva al potere non si comporta poi tanto meglio di un uomo. Guardiamo a Margaret Thatcher, a Golda Meir… Thatcher è quella che ha distrutto, ha devastato il welfare inglese che era tra i più belli in Europa. Meir avesse potuto sotterrare il mondo arabo sotto una coltre di zolfo l’avrebbe fatto. Cosa fa la differenza? I soldi. Coi soldi posso fare molte cose, coi soldi accresco il mio potere, coi soldi tutti mostrano il loro lato peggiore. Romeo è sì legato ai soldi, ma è più legato al territorio, alla terra. Romeo sta alla Saccisica, che si estende tra Padova e Venezia, come gli scozzesi alle Highlands. Ma quando capisce che tutti lo vogliono fottere allora viene fuori la belva che non programma e non progetta, ma è la ferocia istintiva della conservazione del sè e del branco. E che non esita neanche a sacrificare qualcuno del branco stesso.

Il libro ha un chiaro riferimento a un piccolo gioiello cinematografico, che non sveliamo per non spoilerare. Ce ne sono altri di riferimenti?

Un quintale, se vuoi. E vanno sempre a parare in quei cinque, sei registi che adoro. Una spruzzata di Tarantino c’è, dei fratelli Coen, di Monicelli. È difficile dire che c’è un riferimento preciso, ma quando poi rileggo vengono fuori perché fanno parte del mio background. Così come nella gestione del dialogo si nota che prima di approdare alla narrativa, ho letteralmente mangiato fumetti; e questo ha molto influito.  

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