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Da Jolie a Balti, la scelta della mastectomia preventiva come ‘terapia’

Il 10% dei tumori al seno è ereditario e perciò legato alla presenza di mutazioni nei geni che compongono il DNA. L'intervista a Francesco Stagno d'Alcontres, presidente Sicpre

Pubblicato:12-12-2022 17:17
Ultimo aggiornamento:12-12-2022 17:17

mastectomia preventiva
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ROMA – Il 10% dei tumori al seno è ereditario e perciò legato alla presenza di mutazioni nei geni che compongono il DNA. I geni BRCA1 e BRCA2, in particolare, sono i principali responsabili della predisposizione genetica a sviluppare questo tipo di tumore. Oggi le donne mutate possono optare per differenti soluzioni che consistono in controlli ravvicinati o nella mastectomia preventiva alla quale si è sottoposta, solo qualche giorno fa, la modella italiana Bianca Balti. Per capire cos’è una mutazione genetica di tipo Brca 1 e 2, i rischi che ne derivano, le opzioni terapeutiche oggi a disposizione e cosa c’è nel post intervento, l’agenzia di stampa Dire ha raggiunto telefonicamente il professor Francesco Stagno d’Alcontres, presidente della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-rigenerativa ed Estetica SICPRE (l’unica società di chirurgia plastica riconosciuta dal Ministero della Salute) nonché professore di Chirurgia plastica all’Università degli Studi di Messina, direttore della Scuola di Specializzazione in chirurgia Plastica presso lo stesso ateneo e responsabile dell’AUO di Chirurgia Plastica presso il Policlinico ‘G. Martino’ di Messina. Si è cominciato a parlare di mutazione genetica Brca 1 e 2 da molto tempo ma l’opinione pubblica è stata sicuramente sensibilizzata dal ‘caso’ di Angelina Jolie in poi. L’ultimo e il più recente quello della modella Bianca Balti.

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In parole semplici cosa comporta la mutazione e come si arriva alla diagnosi? Inoltre è possibile sottoporsi a screening?
‘Il 5-10% dei tumori al seno è ereditario, cioè legato alla presenza di mutazioni nei geni che compongono il DNA, il nostro codice genetico. I geni BRCA1 e BRCA2 sono i principali responsabili della predisposizione genetica a sviluppare il tumore. La presenza di più casi di tumore in una stessa famiglia, eventualmente comparsi in giovane età, può far sospettare che possano essere legati a mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 e portare quindi all’analisi genetica, che si esegue partendo da un esame del sangue e analizzando il DNA in esso contenuto’. ‘Va precisato- prosegue- che le donne che hanno la mutazione genetica possono sviluppare, contemporaneamente o in tempi diversi, sia il carcinoma della mammella che il carcinoma dell’ovaio. Se il test genetico evidenzia la presenza di mutazione dei geni, si possono aprire due scenari e la paziente potrà con il senologo e l’oncologo scegliere di eseguire dei follow-up a 6 mesi intensificando i controlli strumentali attraverso delle mammografie e delle ecografie, allo scopo di identificare il tumore in una fase precoce oppure, come nel caso della Jolie e della Balti, è possibile ricorrere all’asportazione preventiva delle mammelle ed eventualmente delle ovaie. Anche se la presenza dei geni mutati aumenta molto il rischio di sviluppare il tumore, è importante ricordare che non tutte le persone portatrici delle mutazioni si ammaleranno’.
Dopo il travaglio che segue ad una diagnosi di questo tipo si può arrivare alla decisione di ricorrere alla mastectomia preventiva.


In cosa consiste l’intervento e quali possono essere i rischi che ne derivano soprattutto nel caso di asportazione del seno in una donna sana?
‘La mastectomia preventiva è una scelta anche della paziente. L’altra strada possibile, come abbiamo visto, può essere quella di sottoporsi a controlli molto ravvicinati, in modo da intercettare l’eventuale tumore in uno stadio molto precoce’. ‘La presenza della mutazione genetica- precisa- non è una diagnosi di malattia, ma rappresenta un rischio molto maggiore di ammalarsi. Con la mastectomia preventiva vengono asportate entrambe le ghiandole mammarie, decidendo in base al singolo caso se sacrificare o preservare il manto cutaneo in questo secondo caso si parla di mastectomia ‘skin sparing’. Mentre si parla di ‘nipple sparing‘ se si conserva anche il complesso areola-capezzolo. Se correttamente eseguita, da parte di medici esperti, la mastectomia non comporta rischi particolari, anche se bisogna mettere in conto un ‘costo’ psicologico legato all’amputazione. Non è mai una scelta facile’.

È vero che le donne mutate oltre alla mastectomia possono, in prevenzione, decidere di ricorrere all’asportazione delle ovaie e delle tube? Qual è l’indicazione prevalente della comunità scientifica?
‘L’esperienza consolidata a livello mondiale è quella di procedere con l’asportazione anche delle ovaie e delle tube, per scongiurare eventuali altri rischi. Se si tratta di pazienti giovani è necessario pensare alla loro fertilità, di conseguenza si può ipotizzare una crioconservazione degli ovociti, ma chiaramente sarà la paziente a scegliere liberamente cosa fare. In ogni caso davanti ad una familiarità marcata e con una positività confermata, a livello genetico, è importante procedere all’asportazione delle ovaie e tube anche in un secondo tempo. Non c’è un algoritmo valido per tutti i casi’.

Cosa avviene nel post mastectomia? quando è possibile ricostruire il seno? In questi casi il chirurgo plastico deve optare per protesi ‘speciali’ o sono più indicate le ricostruzioni autologhe?
‘La ricostruzione può essere autologa, ricorrendo al trasferimento di tessuti dall’addome o dall’inguine. Quando si ricorre alla tecnica conservativa, che preserva i tessuti di rivestimento e il complesso areola-capezzolo, la ricostruzione avviene impiantando direttamente le protesi. Se la mastectomia è stata effettuata senza conservazione del manto cutaneo, invece, il primo passo consiste nell’impiantare un espansore, un dispositivo che viene progressivamente riempito di soluzione fisiologica, permettendo ai tessuti di rivestimento (come accade all’addome di una donna in gravidanza) di crescere. Dopo 6-12 mesi, gli espansori vengono sostituiti dalle protesi, solitamente rivestite dalle cosiddette matrici dermiche acellulari. Grazie a queste membrane di collagene (nella mastectomia i tessuti di rivestimento rimasti possono essere molto sottili) si ottiene l’effetto di rinforzare la cute, evitando possibili complicazioni (la protesi potrebbe ‘bucare’ la cute) e migliorando il risultato estetico. In ogni caso la mastectomia è un intervento che deve essere eseguito dall’oncoplastico, cioè il chirurgo plastico che si occupa principalmente di tumori e che collabora con il senologo all’interno delle Breast Unit, i centri multidisciplinari che comprendono anche radiologi, psicologi e altre figure professionali in grado di fornire alle pazienti un sostegno a 360 gradi’. E’ necessario fare controlli specifici e/o sostituire le protesi al seno. Se necessario dopo quanti anni? ‘La mastectomia preventiva elimina quasi completamente l’organo che potrebbe manifestare il tumore ma non azzera la possibilità di ammalarsi’.

‘Come abbiamo detto, il tumore potrebbe, anche se molto raramente, svilupparsi anche nel poco tessuto mammario rimasto e soprattutto nelle ovaie- aggiunge- Il cancro ovarico è la quinta tipologia di tumore più comune nelle donne in Europa, con oltre 65.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno. Colpisce 14 donne su 1000 (circa il 1,4%) ed è molto legato all’età. Circa il 15% dei tumori ovarici sono ereditari a causa di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Tutto questo per dire che una donna con mutazione genetica BRCA1 e BRCA2 rimane sempre e comunque ‘speciale’ e deve pertanto essere seguita con particolare attenzione. Per quanto riguarda le protesi, è importante ricordare che si tratta di dispositivi che non sono eterni. E’ necessario verificarne l’integrità con esami annuali e sostituirle dopo 8-10 anni’. Che appello la Sicpre vuole rivolgere a tutte le donne? ‘Come Società vogliamo sicuramente sensibilizzare tutta l’opinione pubblica su una patologia che, se adeguatamente e tempestivamente trattata, consente non solo una lunga sopravvivenza ma la guarigione. Alle donne dico: sottoponetevi ai controlli periodici, sempre. Non bisogna avere paura e fuggire. Oggi disponiamo di terapie farmacologiche e possibilità chirurgiche molto efficaci. Basti pensare che in Italia la sopravvivenza media a 5 anni per le donne ammalate di tumore è dell’88%’.

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