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VIDEO | Venezuela, l’attivista Saleh: “Siamo in mano ai narcotrafficanti”

ROMA - "In Venezuela i gruppi armati colombiani e i cartelli della droga hanno collaborato tra loro e finanziato la

Pubblicato:12-12-2018 18:15
Ultimo aggiornamento:12-12-2018 18:15

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ROMA – “In Venezuela i gruppi armati colombiani e i cartelli della droga hanno collaborato tra loro e finanziato la campagna elettorale di Hugo Chavez, che una volta salito al potere si è sdebitato mettendo al servizio di questi soggetti tutte le infrastrutture venezuelane. Oggi quindi il Venezuela è un elemento chiave per tutti i gruppi terroristi internazionali, come ad esempio l’Isis”. Così all’agenzia ‘Dire’ Lorent Saleh, attivista venezuelano per i diritti umani, a Roma per un incontro a lui dedicato in qualità di vincitore del Premio Sakharov 2017 dell’Unione europea.

La situazione in Venezuela è talmente drammatica – dice l’attivista – che sono tornate malattie scomparse decenni fa, a causa della carenza totale di qualsiasi bene. E ogni manifestazione di protesta viene immediatamente repressa. Per questo è fondamentale che gli Stati adiscano la Corte penale internazionale”.

 


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Nel corso dell’incontro Saleh fatica a rimanere seduto, mentre racconta dei quattro anni trascorsi nelle carceri venezuelane, “due in isolamento e due nel braccio dell’Elicoide, dove risiedono pericolosi criminali e cittadini comuni come giornalisti o dissidenti politici”. Ora, libero da due mesi, è rifugiato politico in Spagna, da dove, spiega, “continuo a battermi per porre fine a ciò che accade in Venezuela. La mia paura più grande non è la morte o il dolore: è dimenticarmi di chi sta soffrendo, di essere assorbito da questa nuova vita”.

In Europa, avverte Saleh, “non vi rendete conto“. “Nel mio Paese – incalza – continuano ad avvenire palesi violazioni dei diritti umani. La nostra crisi è peculiare, perché non c’è un conflitto tra esercito o tra gruppi etnici o religiosi. È difficile da inquadrare. Si tratta del collasso di uno Stato in mano ai narcotrafficanti. Caracas è la capitale del terrorismo occidentale”.

Secondo l’attivista neanche per i venezuelani è semplice capire cosa accade: “Vivono in un Paese in cui è normale sequestrare un politico eletto, torturarlo e ucciderlo“. L’ultimo, a inizio ottobre: “E’ stato gettato dalla finestra. E ogni giorno accade qualcosa del genere, ma la gente va avanti”. La crisi economica fa sì che trovare cibo, medicinali e altri beni necessari sia sempre più difficile. Secondo le Nazioni Unite oltre tre milioni di persone hanno già lasciato il Paese.

“Mentre ero in carcere – racconta l’attivista – mi sono accorto che la maggior parte dei detenuti conservavano il cibo che ci veniva distribuito, sebbene non fosse di buona qualità. Poi, lo davano alle mogli o ai figli che venivano a trovarli, perchè non ne avevano. E’ questa la situazione: chi è in prigione almeno ha da mangiare“. Saleh lancia quindi un appello alla comunità internazionale. “Non ci troviamo di fronte a una democrazia in crisi” dice.

“In Venezuela il governo di Nicolas Maduro è un governo criminale, che sta opprimendo la popolazione e che non ha interesse a dialogare. I partiti di opposizione e i giornalisti non ci sono più, mentre le carceri sono piene di dissidenti. Ma chi opprime i venezuelani va portato davanti la Corte penale internazionale. Chiedo ai governi europei, all’Ue e all’Italia di attivarsi”. Poi, il lungo abbraccio con Betty Grossi, anche lei ex detenuta e vincitrice del Sakharov 2017.

“E’ la prima persona che ho conosciuto in carcere – spiega Laurent – ed è la prima volta che ci vediamo fuori di lì”. “Durante uno sciopero della fame per chiedere la liberazione degli altri detenuti” ricorda la donna, di origine italiana, “i carcerieri hanno imbandito una ricca tavola davanti la nostra cella e hanno mangiato. A me hanno offerto del cibo. Le torture consistono anche in questo”.

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