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A Pululahua, nel cratere abitato dell’Ecuador difeso dalla comunità

Brigate anti-incendio e cura dell'ecologia nella riserva naturale a pochi chilometri da Quito. Con un contributo dell'Italia

Pubblicato:12-10-2022 17:54
Ultimo aggiornamento:12-10-2022 17:56
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(Dal nostro inviato Brando Ricci)

QUITO (ECUADOR) – “Un tempo l’attività del guardaparco e quella del contrasto agli incendi erano riservate quasi solo agli uomini, ma ora non è più così; anche noi ci siamo formate e abbiamo avuto modo di confrontarci con altri professionisti. Abbiamo imparato che il fuoco non va temuto: va compreso e gestito”. A parlare con l’agenzia Dire è Elena Jiménez, guardaparco che lavora nella Riserva geobotanica di Pululahua, area protetta ospitata dal cratere dell’omonimo vulcano, attivo ma silente da circa 2mila anni, situato a circa 15 chilometri da Quito, la capitale dell’Ecuador.
Jimenez, nativa della vicina comunità di San Isidro de Pululahua, racconta la sua esperienza con alle spalle la cresta ondulata e verde del vulcano, custode di un luogo unico in Ecuador e nel mondo: Pululahua, grazie alla ricchezza della sua flora, diretta conseguenza della particolare composizione del suo suolo, è l’unica riserva geobotanica del Paese. Nel territorio, poco più di 3380 ettari, si trovano oltre 180 specie di orchidea, solo per citare la tipologia più rappresentativa. Pululahua è inoltre l’unico cratere di un vulcano attivo al mondo abitato in modo stabile da esseri umani, al momento un’ottantina, insieme a quello dell’isola di Aogashima, in Giappone.

31 BRIGATE FORMATE NELLE “ESCUELAS DE CAMPO”

Jimenez fa parte di una delle 31 brigate di professionisti nel contrasto e nella prevenzione degli incendi e nella gestione del fuoco che si è formata presso le “escuelas de campo” realizzate grazie al progetto “Programa de reducción de incendios forestales a través de acciones de manejo integral del fuego en la sierra y costa del Ecuador“, letteralmente “programma di riduzione degli incendi forestali attraverso azioni di gestioni integrali del fuoco nelle regioni montane e della costa dell’Ecuador”, noto anche come Progetto Amazonìa sin fuego (Pasf). L’iniziativa è finanziata dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) in collaborazione con l‘Agencia Brasileira de Cooperação (Abc) e il Banco de desarrollo de America Latina (Caf) ed è gestita dal ministero dell’Ambiente, dell’acqua e della transizione ecologica. Il programma mira appunto a migliorare la condizione di vita delle comunità locali formandole nella gestione e nell’uso alternativo del fuoco, il cui errato utilizzo nel settore agricolo è il principale responsabile di incendi nel Paese sudamericano.


“Spesso l’obiettivo di chi causa gli incendi è quello di preparare un dato territorio a un cambio di utilizzo: la foresta viene bruciata per lasciare spazio alle coltivazioni”, riferisce Daniel Segura, responsabile nazionale del Pasf. “Questa modalità di ampliare la cosiddetta ‘frontiera agricola’ non è sostenibile dal punto di vista ambientale e ha effetti negativi in termini di erosione del suolo”, aggiunge l’esperto, nel corso di una presentazione del progetto che si tiene in una piccola struttura del Pasf nel cuore del cratere. Segura prosegue: “Gli incendi rappresentano quasi il 40 per cento degli eventi avversi di natura ambientale che avvengono in Ecuador e si concentrano nella fascia andina, dove si verificano circa l’80 per cento dei roghi”.

IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

La prima parte di Pasf termina a ottobre. La convenzione istituzionale che sancisce la fase due, che ha una durata di tre anni e che è finanziata dal Fondo Italo Ecuatoriano para el Desarrollo Sostenible (Fieds), è stata firmata nei giorni scorsi.
La nuova fase di Pasf porta a otto le province coinvolte nel progetto dalle quattro della prima parte dell’iniziativa. Pululahua, una delle 71 aree protette dell’Ecuador, che ammontano a circa il 23 per cento del territorio nazionale in totale, continua a essere uno dei luoghi simbolo dell’iniziativa.
Centrale per l’evoluzione del progetto è stato un episodio avvenuto nel 2019, come riferisce Bryan Guerra, a capo della gestione della Riserva. “Un anziano della zona, proprio mentre quasi tutte le squadre di guardiaparco si trovavano in un’altra regione del Paese per un’emergenza, innescò involontariamente un incendio che alla fine durò 13 giorni” ricorda il dirigente. “Per spegnerlo ci vollero 156 ore di lavoro e tutta l’operazione, compresa la fase di riforestazione successiva, costò circa 490mila dollari; si persero 106 ettari di territorio tra area protetta e bosco adiacente”.
L’episodio ebbe risalto sui media dell’Ecuador e ha costituito “un prima e un dopo” nella storia di Pululahua, prosegue Guerra. “Abbiamo capito che le responsabilità erano collettive e soprattutto ci siamo resi conto con chiarezza che la prevenzione è l’arma più efficace e meno costosa per combattere gli incendi. Questo evento è stato decisivo anche per arrivare a una concezione ecologica del fuoco, uno dei principi cardine della nostra formazione ai guardaparco”.
Un cambio di mentalità che ha giocato un ruolo importante nell’evoluzione del progetto, che secondo il co-direttore italiano del Fieds, Pietro Graziani, “ha avuto un impatto molto positivo”. La fase due del Pasf, continua il responsabile, “si avvalerà anche di due strumenti nuovi: il monitoraggio satellitare e l’indagine forense, utile a comprendere come nascono gli incendi”.
Mario Beccia, direttore della sede Aics di Bogotà, con competenza su tutti i Paesi del Sud America, traccia un bilancio complessivo dell’esperienza del progetto. “Nasce più di 20 anni fa in Brasile, da qui il nome legato all’Amazzonia, e prosegue poi in Bolivia” ricorda il responsabile. “Mettere al centro la prevenzione ha pagato: siamo molto soddisfatti”.

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