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I pediatri: “Al sud situazione critica per l’infanzia, sia priorità politica”

De Curtis: "Necessario assicurare le cure e l'opportunità di una formazione scolastica"

Pubblicato:12-10-2021 11:23
Ultimo aggiornamento:12-10-2021 11:22

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ROMA – “I bambini e i ragazzi del Mezzogiorno vivono una situazione molto critica da un punto di vista sanitario, sociale ed educativo. E’ necessario assicurargli adeguate opportunità di crescita, di cure e di formazione scolastica. Migliorare le condizioni sociali dell’infanzia e lottare contro la povertà infantile, economica ed educativa, è una priorità che va messa al centro dell’azione politica affinché ci sia un presente e un futuro per il nostro Paese. Una delle sfide che l’Italia ha davanti è proprio quella di ridurre i divari e oggi il Mezzogiorno è la sfida per avere un Paese più giusto e più equo”. A sottolinearlo con forza è Mario De Curtis, presidente del Comitato per la Bioetica della Società italiana di pediatria (Sip), intervenuto al convegno ‘Aspetti medici e sociali dell’età pediatrica in Italia’, in corso a Roma presso l’Accademia nazionale dei Lincei. Bambini e questione meridionale il tema al centro dell’intervento di De Curtis che evidenzia come “le disuguaglianze nella qualità della vita dipendono in primo luogo dalla latitudine, iniziano già al momento della nascita e si rendono più manifeste con la crescita e nell’età adulta. Gli aspetti più critici che interessano i bambini e ragazzi del Mezzogiorno- rimarca il presidente del Comitato per la Bioetica Sip- riguardano in particolare lo stato di salute, la situazione sociale e la formazione scolastica”.

LA MORTALITÀ INFANTILE

“Gli ultimi dati Istat, relativi al 2018, hanno messo in evidenza in Italia un tasso di mortalità infantile di 2,88 per 1.000 nati vivi- ricorda De Curtis- Anche se questo dato è tra i più bassi del mondo, continuano a persistere profonde differenze tra le aree del nostro Paese con tassi di mortalità infantile più elevati e inaccettabili nelle regioni del Mezzogiorno dove si sono avuti il 35,7% di tutti i nati, ma il 45% di tutta la mortalità infantile in Italia. Un bambino residente nel Mezzogiorno ha un rischio del 50% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad uno che nasce nelle regioni del Nord– evidenzia il presidente del Comitato per la Bioetica Sip- Se il Mezzogiorno avesse avuto lo stesso tasso di mortalità infantile delle regioni del Nord, nel 2018 sarebbero sopravvissuti 200 bambini. Ancora più a rischio sono i figli di genitori stranieri che in Italia hanno un tasso di mortalità infantile maggiore dei figli di genitori italiani (4,0 vs 2,7 per mille nati vivi, + 50%) ma quando risiedono nel Mezzogiorno questa differenza è ancora più elevata (7,0 vs 3,5 per mille, + 100%)”.

LA MIGRAZIONE SANITARIA PEDIATRICA

“Pur interessando tutte le regioni italiane è particolarmente rilevante in quelle del Mezzogiorno ed è un indice di una carenza di assistenza pediatrica che dovrebbe essere rafforzata per ridurre le disparità geografiche e garantire parità di accesso alle cure a tutti i cittadini attraverso la creazione di servizi attualmente non equamente distribuiti sul territorio”, sottolinea De Curtis. Un recente studio (https://ijponline.biomedcentral.com/articles/10.1186/s13052-021-01091-8) ha messo in evidenza che bambini e ragazzi residenti nel Sud Italia quando sono malati vengono spesso curati in un’altra regione e questa migrazione è più evidente rispetto a quelli residenti nel Centro-Nord (11,9% vs 6,9%).


“La migrazione sanitaria dei minori lontano da casa, che si verifica per l’aspettativa di ottenere un esito migliore di quello che si potrebbe avere facendosi curare nella propria regione, determina profonde sofferenze per il distacco dal luogo di origine, problemi economici per le famiglie a causa delle spese di trasferimento e difficoltà di lavoro dei genitori per l’allontanamento dalla loro sede- evidenzia De Curtis- Questo tipo di mobilità genera iniquità, poiché non tutte le famiglie sono in grado di sostenere i costi dei trasferimenti. Inoltre, le Regioni meridionali si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra Regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. Questi costi che nel 2019 sono stati più di 90 milioni di euro, potrebbero invece essere investiti in gran parte localmente in strutture e professionalità per migliorare la situazione sanitaria- rimarca il presidente del Comitato per la Bioetica Sip- Mentre la mobilità sanitaria va incentivata per alcune prestazioni di alta e altissima complessità e per patologie molto rare non è giustificata per la gran parte delle malattie pediatriche che, con una buona organizzazione, potrebbero essere curate localmente”.

Molte delle problematiche sanitarie del Mezzogiorno “riflettono la situazione sociale e della povertà che con la pandemia si è aggravata- dice De Curtis- Con la perdita del lavoro di milioni di persone si è verificato un aumento drammatico della povertà che nell’età infantile notoriamente si associa ad una ridotta qualità della vita, un aumento delle malattie e a disturbi e difficoltà nella sfera fisica, affettiva, cognitiva, e relazionale. La povertà assoluta in Italia nel 2020 ha interessato 1 milione 337mila minori con un’incidenza che va dal 9,5% del Centro al 14,5% del Sud”.

LA FORMAZIONE SCOLASTICA

Nel Sud Italia un’altra situazione critica è la formazione scolastica. “Le carenze iniziano subito con un insufficiente numero di asili nido e scuole dell’infanzia -osserva De Curtis- E’ ben noto che le esperienze vissute dai bambini nei primi anni di vita sono importanti e pongono le basi per tutto ciò che il bambino apprenderà negli anni successivi, non solo in ambito strettamente scolastico, ma anche nelle relazioni sociali e nello sviluppo della propria personalità e sarà determinante sulle sue prospettive future”. Al Sud i posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi pubblici e privati coprono il 14,5% del bacino di utenza potenziale (15,7% nelle Isole), rispetto al 35,3% al Centro, il 34,5% nel Nord-est e il 31,4% nel Nord-ovest (dati Istat).

“Il governo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto tra le priorità un piano per asili nido, scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia con 152mila nuovi posti per un investimento di 4,6 miliardi- ricorda De Curtis- Questo intervento è stato finalizzato soprattutto per sostenere la natalità, investire nell’educazione e nel benessere dei bambini e incoraggiare la partecipazione femminile al mondo del lavoro. Secondo alcuni un limite del piano attualmente è la mancata distinzione e distribuzione tra le due scuole perché la disponibilità di posti in Italia è nella media europea per le scuole dell’infanzia mentre è molto più bassa per gli asili nido e presenta ampie variazioni essendo in Calabria solo del 10 per cento, mentre in Valle d’Aosta è del 47 per cento”.

L’ABBANDONO SCOLASTICO

Un altro criterio che mette in luce la particolare situazione sociale del Mezzogiorno è il tasso di dispersione scolastica. “Le cause riconoscono una serie di fattori come: la situazione socio-economica della persona, il background formativo della famiglia, i fattori di attrazione del mercato del lavoro, il rapporto con la scuola e i con i programmi educativi offerti, le caratteristiche individuali e caratteriali della persona- osserva De Curtis- L’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale è stato del 16,3% nel Mezzogiorno, dell’11% nel Nord e dell’11,5% nel Centro. La maggiore incidenza di abbandoni si è avuta in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia (19,4%, 17,3%, 16,6% e 15,6% rispettivamente)”, conclude De Curtis.

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