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VIDEO | Dai migranti alla compilation, la storia del pianista volontario

Taskayali: "Cinque settimane sulla nave quarantena, esperienza fortissima"

Pubblicato:12-10-2020 11:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:02

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https://vimeo.com/467329734

ROMA – La leggenda del pianista che suonava per i migranti. Pianista che fa parte dei venti giovani talenti da sei Paesi di tutto il mondo, chiamati a rivedere i confini della musica, fra ambito colto e pop. Esce il 6 novembre ‘The shape of piano to come, vol. I’, prima compilation per pianoforte di Inri Classic. Venti artisti, altrettante storie. Come quella della giovanissima Eva Bezze, non ancora maggiorenne, allieva del maestro Cacciapaglia, o quella dell’argentino Franco Robert che dal metal ha intrapreso una carriera solista al piano. E ancora il talentuoso francese Dominique Charpentier, uno dei pochi compositori francesi famosi nel mondo classico moderno e ancora l’americana Lena Natalia. Oppure quella del pianista italiano cresciuto in Turchia, Francesco Taskayali.


LA STORIA DI FRANCESCO TASKAYALI

Artista di professione, volontario per passione: è appena sbarcato, dopo 5 settimane di servizio, dalla nave quarantena Gnv Allegra a Palermo, come volontario della Croce Rossa Italiana, per una esperienza “molto forte, dirò una banalita’”. Qui ha avuto modo anche di accordare e suonare un vecchio pianoforte sul settimo ponte della nave Allegra. “Ho partecipato con un brano scritto a Lecce- racconta all’agenzia Dire- Mi ha ispirato perchè amo il mare, tutti posti mi ci portano e mi ispirano, sono cresciuto a Instabul che è divisa dal mare, mi trascina. Il brano si chiama ‘Love Is Likely To The Wind’, è un idioma inglese, che significa che l’amore e’ come il vento”. Taskayali ha poi raccontato una esperienza vissuta in prima persona: “Sono tornato da una missione nel Mediterrano, 5 settimane come volontario della Croce Rossa Italiana” e dopo una simile esperienza “ti accorgi che i problemi che sembrano enormi diventano piccoli, poi vedi persone che hanno problemi piccoli e sembrano enormi. Un’esperienza che è stata fortissima. Ci sono andato per tre motivi: perché sono volontario, perché con le navi, con il mare ho un legame forte, e poi perché le ispirazioni sono una lotta…”. Essere stato così tanto tempo a contatto con i migranti ha lasciato il segno: “Puoi chiamarli come vuoi, ma quando gli dai il pranzo o risolvi un problema sanitario, hai davanti a te una persona. Ogni persona dietro ha una storia. Già solo questo supera la burocrazia. Ognuno avrà il suo destino. Come Abu, che ho conosciuto, che è stato torturato, è naufragato. A 15 anni non è giusto vivere queste cose”. Quella che ha trascorso per cinque settimane “è una esperienza che consiglierei di fare. Eravamo 27, loro 600. Ritmi tosti ma ti abitui”.

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