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Gomorra arriva all’Università, a Unicusano “Raccontare il crimine, scegliere la legalità”

ROMA - “Raccontare il crimine, scegliere la legalità”. Questo il titolo dell'incontro organizzato questa mattina dall'Università Niccolò Cusano

Pubblicato:12-07-2016 14:04
Ultimo aggiornamento:12-07-2016 14:04

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ROMA – “Raccontare il crimine, scegliere la legalità”. Questo il titolo dell’incontro organizzato questa mattina dall’Università Niccolò Cusano e da Radio Cusano Campus, emittente dell’Ateneo. Presenti all’evento il Magnifico Rettore dell’Università Niccolò Cusano, prof. Fabio Fortuna, Salvatore Esposito, l’attore interprete in ‘Gomorra’ del camorrista Gennaro Savastano, e i giornalisti Carlo Bonini, autore del best seller ‘Suburra‘, e Sergio Nazzaro, autore del libro d’inchiesta ‘Castel Volturno: reportage sulla mafia africana’. L’incontro di oggi, una riflessione sui media, sul loro modo di comunicare, divisi tra fiction e realtà, dove la prima assume troppo spesso, almeno per gli spettatori, il ruolo unico di specchio della seconda.


Un quotidiano, quello criminale (nella sua accezione più vasta del termine) che non sempre trova spazio nei racconti della cronaca ufficiale, quella giornalistica, che, come ha spiegato Nazzaro, preferisce mantenere i cittadini in un “bozzolo di non informazione”. Un mondo ovattato dove i morti – quelli delle guerre, ma anche dell’immigrazione o della criminalità organizzata -, si raccontano ma non si mostrano, quasi a farli sparire dall’immaginario collettivo. Morti che, al grande pubblico, appaiono lontani, evanescenti, “tanto che ce ne fotte, non ci riguardano”, ha precisato ancora Nazzaro nel suo intervento.

BONINI: IL PROBLEMA E’ COME RACCONTARE IL MALE

“Da La Piovra a Gomorra l’oscillazione del pendolo è completa”, ha esordito Bonini. In qualche decennio, si è cioè passati dal punto di vista dell’eroe buono a quello del criminale. “C’è un problema di fondo quando si racconta il male”, prosegue. “A nessuno sfugge che questo materiale è complicato da maneggiare. Basti pensare che il male è un archetipo con il quale abbiamo a che fare da quando esiste l’uomo. Il problema riguarda il giornalismo, la narrativa, il cinema e la fiction”. Questi ultimi però hanno dalla loro “la potenza del mezzo e la forza evocativa delle immagini”. Sul piano etico il problema non è difficile da risolvere, si racconta il male, il dolore e ci si affida alla catarsi. Il problema quindi è “nel come raccontarlo”.


FORTUNA: TUTELARE LA LEGALITA’

Comunicare la legalità non è facile come ha ribadito, all’Agenzia Stampa Dire, il professor Fortuna. “Non è semplice e con la comunicazione bisogna stare molto attenti. Credo che possa essere utile mettere in risalto il fenomeno delle criminalità senza, però, eccessi di spettacolarizzazione. Questo può aiutare i giovani a capire ciò che non si deve fare. Il pericolo – avverte il Rettore – è che qualche modello di criminalità possa essere preso dai giovani, per aspetti di varia natura, anche un po’ come riferimento. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di dare una narrazione corretta, al tempo stesso un’informazione sulla criminalità, ma come tutela della legalità”. Anche le serie televisive come Gomorra, precisa il Rettore, non “devono essere una semplice esaltazione della criminalità ma un punto di partenza per far capire ai giovani quanto sia importante la legalità”. Una visione ‘salvifica’ della fiction che Salvatore Esposito però non riconosce.

‘GENNY SAVASTANO’: TUTTO DEVE ESSERE RACCONTATO

“Tutto deve essere raccontato” esordisce l’attore. “In Gomorra viene raccontato, attraverso il cinema, uno spaccato di realtà mondiale, perché Gomorra racconta di un sistema criminale che viene ambientato a Napoli ma che poteva essere ambientato in qualsiasi altra parte del mondo. È sempre meglio raccontare che nascondere sotto il tappetino di casa come, troppo spesso, siamo stati abituati negli anni a fare”. Per Esposito è soprattutto un problema culturale. “Il nostro Paese si sta attestando verso un livello di mediocrità sia culturale che intellettuale”, risponde il giovane attore in riferimento alle critiche di un rischio emulazione dei personaggi della fiction. In difesa di ‘Gomorra – la serie’, il discorso si fa più complesso. “Anni e anni di televisione hanno propinato prodotti scadenti e soprattutto prodotti dove attori interpretavano semplicemente loro stessi che recitavano un copione. Quando poi porti un progetto internazionale dove gli attori interpretano dei personaggi a se stanti totalmente distinti da quella che è la natura dell’attore allora sconvolgi il pubblico e quindi loro tentano di credere che quelli che stanno vedendo sono il Genny Savastano assassino, il Ciro Di Marzio infame. Tutto ciò è dovuto solo ed esclusivamente ad un impigrimento e ad una mediocrità della nostra società”.

“Gomorra non nasce per allontanare i giovani dalla camorra o dalla delinquenza”, dice in maniera ancora più esplicita Esposito. “Gomorra nasce con il raccontare quello che è questo spaccato. Racconti che nessun personaggio fa una bella vita, o vanno in galera o muoiono ammazzati. Sono tutti eterni infelici. Cosa vuoi raccontare più di questo ai giovani”. Per Salvatore Esposito nato in una delle periferie napoletane che oggi fanno da palcoscenico a Genny Savastano, la salvezza è arrivata dall’avere “una famiglia forte e una testa sulle spalle che mi ha portato a fare altre scelte. Spesso il problema reale che porta i ragazzi a scegliere quella strada è perché non hanno alternative, non hanno famiglie, non hanno uno Stato che li supporta”. Ecco che le strade del Rettore e quelle dell’attore si ricongiungono. “L’emulazione – conclude il professor Fortuna – c’è quando i giovani non hanno acquisito quei valori necessari per differenziare il bene dal male. Il rischio di emulazione c’è nelle fasce di popolazione meno abbienti, nelle fasce di popolazione più attratte dai facili guadagni, dalla bella vita, cose molto più difficili da ottenere con attività legali”.

di Giuseppe Pagano, giornalista

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