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Processo spese ‘pazze’, in carcere Marco Monari (ex capogruppo Pd alla Regione Emilia-Romagna)

L'ex capograuppo del Pd è finito in carcere perchè la sentenza dei processo sulle spese pazze è diventata definitva: la condanna è a 4 anni e 5 mesi per 20.000 euro di peculato

Pubblicato:12-05-2023 11:49
Ultimo aggiornamento:13-05-2023 15:15

marco monari regione emilia romagna
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BOLOGNA – Finisce in carcere l’ex capogruppo del Pd in Emilia-Romagna, Marco Monari, al termine del processo per la vicenda delle spese ‘pazze’, ovvero i soldi destinati ai gruppi consiliari che vennero distratti per spese personali (regali e altro) e per pagare cene, viaggi, hotel che niente avevano a che vedere con l’attività politica. Monari è entrato in carcere nei giorni scorsi, come racconta il Resto del Carlino, come conseguenza del fatto che la condanna nei suoi confronti è diventata definitiva: la Corte di Cassazione ha infatti respinto la scorsa settimana il ricorso dell’ex politico che faceva appello contro la sentenza di secondo grado che nel 2022 lo ha condannato a quattro anni e cinque mesi per un peculato pari a 20.000 euro. Dopo che la sentenza è diventata definitiva, la Procura generale ne ha chiesto l’esecuzione e così Monari è stato portato in carcere a Forlì.

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L’INCHIESTA E LE DIMISSIONI NEL 2013

Le spese che gli vengono contestate risalgono per lo più agli anni 2010 e 2011. L’inchiesta della Procura di Bologna (a cui lavorò la Guardia di finanza) partì poco più di un anno dopo, nel 2012, ed esplose come notizia pubblica nel 2013: Monari si dimise dal ruolo di capogruppo del Pd in Regione Emilia-Romagna nel novembre del 2013, dopo la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Bologna. Furono indagati anche gli altri otto capigruppo, tutti accusati di peculato. E in tutto i consiglieri finiti sotto inchiesta furono 41.


HOTEL, RISTORANTI, FIORI. E PURE IL BAGNO PUBBLICO

L’inchiesta portò un terremoto nel palazzo della Regione Emilia-Romagna e l’inchiesta tenne banco sui giornali per mesi e mesi. L’inchiesta per peculato della Guardia di finanza mise sotto la lente le spese rimborsate con i fondi dei gruppi consiliari. Le spese finite nel mirino della Procura erano di molte tipologie diverse, dai libri ai regali (una tutina per bambini), dai fiori ai farmaci. Ci fu qualcuno che aveva chiesto perfino il rimborso per i 50 centesimi spesi per accedere a un bagno pubblico. E spuntò addirittura un sex toy. Poi ristoranti e hotel, molto spesso di lusso. Al processo non tutte le accuse rimasero in piedi, una parte di spese infatti venne stralciata. Infatti la contestazione iniziale a Monari era molto più alta di quella per cui alla fine è stato condannato: si partiva da un importo 940.000 euro, la condanna è stata per 20.000. A lui venivano contestate anche le spese per gli altri, essendo il capogruppo. poi appunto, man mano, la cifra si ridimensionò nel corso dell’indagine e del processo. Monari è stato condannato anche dalla Corte dei conti, nel 2017, a risarcire alla Regione Emilia-Romagna 518.000 euro.

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IL WEEKEND DA 1.600 EURO A VENEZIA

La spesa più clamorosa che fu contestata a Monari fu quella per un weekend da 1600 euro a Venezia: era il giugno 2011 e l’ex consigliere andò a Venezia in occasione dello ‘Sposalizio del mare’ insieme ad una collaboratorice. Alloggiarono in un hotel vicino al Canal Grande che costò da solo 1.100 euro. Il resto dei soldi andarono nelle spese di viaggio e nei ristoranti.

LE TAPPE DEL PROCESSO

Il processo sulle ‘spese pazze’ è terminato di fatto con molte archiviazioni e assoluzioni. La condanna più alta è stata proprio quella di Monari, l’unico che ora, con la notizia di questi giorni, entra in carcere questa vicenda. La sentenza di primo grado arrivò per lui a fine 2017: fu condannato a quattro anni e quattro mesi e patteggiò una pena di un anno per le spese legate alla legislatura precedente. La sentenza d’appello è arrivata poi nel 2022: è stato assolto per una parte di spese. La pena delle due vicende è stata unificata e così è rimasta infine quattro anni e cinque mesi, per un totale di spese indebite di 20.000 euro. La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricordo e così la sentenza è diventata definitiva.

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