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Da Kiev a Roma, l’accoglienza come strada per la pace

Incontro nella sede dell'Agenzia Dire

Pubblicato:12-04-2022 15:27
Ultimo aggiornamento:12-04-2022 15:27
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ROMA – Kiev, dove “segnali di pace” e forza d’animo della popolazione si confrontano con la sofferenza e i timori per i combattimenti nell’est dell’Ucraina, e Roma, che lancia il suo messaggio di pace accogliendo e tutelando i fragili, provando a immaginare percorsi di integrazione anche in ascolto della sua comunità di origine ucraina. Un legame, quello tra Kiev e Roma, tra l’Ucraina e l’Italia, a ormai 48 giorni dall’inizio dell’offensiva militare russa il 24 febbraio, oggi al centro di un dibattito pubblico nella sede dell’agenzia di stampa Dire e online.

I temi sono in evidenza nel titolo, ‘Roma Ucraina. Gli aiuti, l’accoglienza, le diaspore: una città per la pace’. A partecipare anche anche due religiosi ucraini, uno di base a Roma, don Marco Yaroslav Semehen, rettore della basilica minore di Santa Sofia degli ucraini greco-cattolici, e uno in videocollegamento da Kiev, don Maksim Ryabukha, salesiano.

Apre i lavori, sollecitato dal moderatore, il giornalista Vincenzo Giardina, proprio don Ryabukha. “Kiev sta piano piano tornando in una condizione normale, ma è pur sempre la normalità di uno stato di guerra” scandisce il sacerdote anche in riferimento al recente ritiro delle forze armate russe dai sobborghi della capitale. “La consapevolezza che il conflitto imperversa nel sud e nell’est del Paese provoca molta tristezza”.


Sentimenti forti, quelli che animano gli abitanti di Kiev, che come luci e ombre dialogano con “la presenza di Dio, molto forte in questi giorni qui”, e con “i segnali che ci fanno credere alla pace” e che fanno pensare che “non è vero che il conflitto durerà mesi o anni, come dicono in molti”.

L’orizzonte temporale torna anche nelle riflessioni di don Semehen. Se è vero infatti che in circa un mese e mezzo 4,6 milioni di persone hanno già lasciato l’Ucraina e oltre 83mila sono già giunte in Italia, il sacerdote guarda anche al futuro e riflette sul presente. “Il Comune di Roma e la Regione Lazio, insieme alle comunità ecclesiastiche, stanno facendo uno sforzo immenso per accogliere” dice don Semehen, che però si chiede: “Dove alloggeranno in futuro queste persone? Perché gli alloggi al momento sono temporanei e questo crea vari problemi, per esempio le famiglie ospitate in hotel non possono iscrivere i figli a scuola”. Tre le priorità da affrontare per il dopo, secondo il rettore della basilica di Santa Sofia, un riferimento per i circa 15mila cittadini ucraini residenti a Roma già da prima dello scoppio della guerra: “Assistenza psicologica, perché tante persone stanno manifestando disagio e malanni psico-somatici; tutela dei minori; alloggi permamenti“.

Ad attraversare trasversalmente questi tre aspetti, si intuisce, è la cura e l’assistenza dei più fragili. Di questo aspetto, inteso come “priorità”, dice Barbara Funari, assessore alle Politiche sociali di Roma capitale. “Siamo felici di aver potuto fornire un rifugio sicuro a persone in condizioni di vulnerabilità, come persone non vedenti o genitori anziani con figli disabili”, sottolinea la dirigente, che pure guarda alla prossima fase, quella della seconda accoglienza anche per molte delle “2mila persone ospitate in strutture alberghiere convenzionate con il Comune che fra poco si troveranno ad affrontare la stagione turistica”. Riferisce Funari: “Al momento stiamo lavorando in stretto coordinamento con la Regione Lazio per provare a tutelare le persone più vulnerabili nelle fasi di trasferimento che potrebbero seguire, provando a chiedere che rimangano a Roma qualora abbiano già avviato un percorso di integrazione, iscritto i bambini a scuola o abbiano necessità sotto il profilo socio-sanitario”. E’ una prova di accoglienza, che secondo Mario Giro, esponente della Comunità di Sant’Egidio già viceministro degli Esteri, dimostra una volta di più che “gli europei sono molto più accoglienti di quanto la politica racconti”. E a confermarlo, dice Giro rispondendo implicitamente alle polemiche sul presunto “doppio standard” dell’accoglienza dei Paesi europei, anche “quello che abbiamo visto coi tanti siriani fatti arrivare con i corridoi umanitari“, organizzati dal 2016 da Sant’Egidio e dalle Chiese protestanti in partnership con le istituzioni italiane. “Ora – sottolinea Giro – lo vediamo ancora con i tanti ucraini accolti in Polonia e nei Paesi del continente”.

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