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L’Accademia Nazionale di Agricoltura: “Da pandemia a rischio carestia, occhio”

"Materie prime dalle zone di guerra compromettono la catena; e il Made in Italy..."

Pubblicato:12-04-2022 13:16
Ultimo aggiornamento:12-04-2022 13:19

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BOLOGNA – La guerra in Ucraina “ha messo in discussione l’aspetto economico, e per la verità maggiormente speculativo, della globalizzazione intesa come libero mercato di approvvigionamento di merci e di materie prime a prezzi stracciati. Materie prime come le sementi, in gran parte importate dalle aree di guerra, compromettono parte della catena alimentare italiana riflettendosi non solo sui prezzi proibitivi per il consumatore, ma più gravemente sulla disponibilità di prodotti alimentari fondamentali per la dieta italiana se la crisi dovesse involvere in più foschi sviluppi”. Avanti di questo passo, si rischia di passare “dai costi della pandemia al rischio di una carestia di storica memoria“. Evidenzia così Giorgio Cantelli Forti, presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, ieri nel corso della sua relazione all’apertura dell’anno accademico numero 215 di Ana, nella sala dello Stabat Mater all’Archiginnasio di Bologna.

L’agroalimentare Made in Italy è un brand accattivante– continua in sala Cantelli Forti- ma anche fuorviante, non essendo garanzia di origine delle derrate agricole contenute. La concorrenza sleale di molti paesi con fiscalità e costo del lavoro bassi, insufficienti standard di sicurezza e scarsa qualità di materie prime ha gravemente indebolito le nostre aziende agricole. Resta però grave– insiste il presidente Ana- che in Italia non si riesca a normare la tracciabilità d’origine dei singoli componenti dell’alimento finale indicandolo nella confezione. Nel mondo contraffazione, sofisticazione, uso improprio del brand italiano a fini commerciali sono azioni note, ai quali aggiungere l’esperienza Covid e l’attuale situazione internazionale, per una profonda riflessione sulla globalizzazione e la corsa al prezzo più basso che non danno garanzie al consumatore”. Oggi quindi, sprona Cantelli Forti, “serve un’agricoltura integrata che tuteli ambiente, risorse idriche, suoli. Non è più sufficiente ‘fare squadra’ bisogna ‘fare sistema’, con partnership pubblico-privato che incentivino ricerca scientifica, tecnologie avanzate e biotecnologie vegetali per fornire prodotti agricoli commerciali competitivi e sani sul mercato”.

AGRICOLTURA “SETTORE-PILASTRO”, ACCADEMIA SMONTA FAKE NEWS ALLEVAMENTI

L’agricoltura è un pilastro dell’economia italiana, con 41 miliardi di euro di prestiti bancari nel 2021, e soprattutto un comparto agroalimentare da tutelare, dopo la pandemia e a maggior ragione oggi tra rincari energetici e guerra in Ucraina. Ma è un comparto da tutelare a favore della qualità dei prodotti e anche contro le fake news, ad esempio quelle secondo cui gli allevamenti risultano tra i maggiori produttori di gas serra nell’atmosfera. È il quadro uscito ieri all’inaugurazione del 215esimo anno accademico dell’Accademia Nazionale di agricoltura, nello Stabat Mater dell’Archiginnasio di Bologna, aperto dalla relazione del prof Giorgio Cantelli Forti, presidente di Ana, e la prolusione del presidente Abi Antonio Patuelli, nominato “accademico onorario”.


La cerimonia è stata animata dall’assegnazione della terza edizione del Premio Filippo Re, quest’anno dedicato al rapporto tra territorio e società, che ha visto vincitore lo studio di Roberto De Vivo, Phd Dipartimento di Medicina Veterinaria e Produzioni Animali Università di Napoli “Federico II”, dal titolo “Influence of carbon fixation on the migration of greenhouse gas emission from livestock activities in Italy and the achievement of carbon neutrality”.

Dallo studio, in sostanza, emerge che la zootecnia in Italia, escluse le attività legate al trasporto e alla lavorazione di prodotti come carne e latte, non contribuisce all’aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera, ma le diminuisce, anche se di poco, essendo il saldo tra le quantità di CO2 prodotte dal bestiame e quelle fissate nell’utilizzo per la loro alimentazione nettamente a favore di quest’ultima.

Dunque, basterebbe aumentare la superficie adibita alla coltivazione di erba medica di 2,6 volte per eguagliare l’equivalente di CO2 prodotta dagli allevamenti e quelli fissati nel foraggio, sostiene la ricerca di Roberto De Vivo e Luigi Zicarelli, pubblicata il 5 marzo 2021 su Translational Animal Science. Spiega a margine della premiazione De Vivo, secondo il quale, in buona sostanza, gli allevamenti andrebbero dunque stralciati dai piani anti-smog delle Regioni come l’Emilia-Romagna: “I media e certe associazioni tendono a fare disinformazione, a volte, sull’impatto ambientale dei prodotti di origine animale, in particolare nel campo dei gas serra. Le attività zootecniche e agricole, in realtà, dovrebbero essere escluse dalle attività antropiche responsabili della diffusione e dell’aumento dei gas serra in atmosfera. Oltre al fatto che tutti gli altri processi industriali hanno un ciclo del carbonio unidirezionale, dal sottosuolo verso l’atmosfera, la zootecnia e l’agricoltura invece- spiega il ricercatore- hanno un ciclo di carbonio che consente prima un’emissione e poi una fissazione, sottraendolo all’atmosfera”. Quello che viene immesso, quindi, viene anche riassorbito. E in termini di gas serra è più efficiente sottrarre CO2 dall’atmosfera che emetterne meno oppure emettere meno metano, “e questo perché l’emivita del metano, il tempo di vita nell’atmosfera, è molto minore di quello dell’anidride carbonica”, aggiunge De Vivo.

PATUELLI (ABI): “ORA ASSORBE 5,5% PRESTITI BANCARI

I rischi di tenuta per il settore dell’agricoltura nel suo complesso “ci sono e sono elevati da diversi mesi, perché sono esplosi i costi dell’energia e il mondo agricolo in particolare lavora con l’energia. Allo stesso tempo sono aumentati i prezzi di tantissimi prodotti: dobbiamo capire se siamo di fronte a fenomeni strutturali, oppure se sono solo fiammate”, dichiara Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria italiana.

A fine 2021, fotografa il settore Patuelli, “il 5,5% del totale dei prestiti bancari è stato destinato alle imprese dell’agricoltura, silvicoltura e pesca“, per un totale di 41 miliardi di euro: “E questo è un risultato che assume maggior valore se consideriamo che tutto il settore rappresenta il 2,2% del valore aggiunto complessivo della nostra economia”. Illustrando in sala una prolusione intitolata “Credito e agricoltura”, aggiunge il presidente di Abi e della Cassa di Ravenna: “A quasi trent’anni dalla riforma, le iniziali preoccupazioni del mondo agricolo di una possibile emarginazione in termini di accesso al credito non si sono realizzate“.

L’attenzione delle banche al comparto primario, rimarca infatti Patuelli, “è confermata dai numeri: a dicembre 2021 i prestiti bancari erogati all’agricoltura erano di 41 miliardi, contro i poco meno di 15 del 1991. È da 30 anni che tutte le banche possono concedere credito all’agricoltura, mentre in precedenza potevano erogarlo solo alcuni istituti di credito specialistici. Inizialmente si pensava che sarebbe stato più difficile concederlo, e che quindi i numeri sarebbero calati, ma non è stato così. L’andamento, anzi, è stato più positivo di quel che ci sarebbe potuto aspettare: sia come quantità di prestiti sia come deterioramento, grazie alla semplicità delle procedure”. Tra i giovani, in tutto questo, “continua ad esserci un grande interesse verso il ritorno all’agricoltura: il Covid, del resto, ha dato una grande spinta al settore e i giovani stanno sperimentando nuove forme di tecnologia, come per le analisi dei terreni”.

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