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Coronavirus. Violenza donne, Veltri (D.i.Re): “Chiamateci, noi ci siamo”

"Preoccupano la convivenza forzata con partner violenti e le case rifugio"

Pubblicato:12-03-2020 15:01
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:08

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ROMA – “Il messaggio che voglio lanciare alle donne che in questo momento si trovano in una difficoltà maggiore perché vivono situazioni di maltrattamento da parte del partner e sono costrette a stare in casa h24, è che noi dei centri antiviolenza ci siamo: da casa, dal nostro telefono di emergenza, anche via skype laddove possibile, dalle nostre sedi che sono temporaneamente in sospensione. Molte operatrici sono nei centri pur non facendo accoglienza nel rispetto delle regole imposte dal Governo. Chiamate se avete bisogno“. È l’appello accorato che Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, la rete nazionale che raccoglie 80 organizzazioni che gestiscono centri antiviolenza, rivolge alle donne che subiscono violenza, soprattutto domestica, in questi giorni di emergenza coronavirus. 

EMERGENZA CORONAVIRUS: clicca per info su aperture dei centri D.i.Re

A preoccupare attiviste, associazioni e cooperative che tutti i giorni si occupano di violenza di genere è che il “restare a casa” si trasformi per alcune in un inferno nell’inferno. “Per molte donne #stareacasa non è un invito rassicurante- è il messaggio che in queste ore sta rimbalzando sui social- Il numero nazionale dei centri antiviolenza 1522 è attivo #nonseisola #nudm“. “Noi diciamo: bene, il 1522 c’è, ma c’è nella misura in cui ci sono i centri antiviolenza- continua Veltri, intervistata dall’agenzia Dire- Proprio negli ultimi giorni, dopo il penultimo decreto, abbiamo fatto un’inchiesta sui nostri centri per capire come si stanno comportando. Hanno risposto 60 su 80 e tutti ci hanno detto che stanno rispondendo alle telefonate e che hanno un cellulare di emergenza”.Due i livelli di preoccupazione per Veltri. Il primo ha a che vedere proprio con la “convivenza forzata“, perché “laddove le donne vivono situazioni di violenza intrafamiliare” il fenomeno potrebbe “inasprirsi e manifestarsi con più virulenza e le donne potrebbero sentirsi inibite a chiamare. In questo senso dico: contattateci, anche se c’è maggiore controllo da parte del partner violento”. Il pericolo maggiore, infatti, si annida tra le mura domestiche come confermato ancora una volta dagli ultimi dati diffusi da D.i.Re, secondo cui l’autore della violenza è, nella maggior parte dei casi, il partner (56%), l’ex-partner (21%) o altro familiare (10%).

LE PROBLEMATICHE LEGATE ALLE CASE RIFUGIO

La seconda preoccupazione, non per importanza, “riguarda le case rifugio per donne e minori, che hanno necessità di essere seguite dalle operatrici di accoglienza. Mi chiedo: cosa accade se una di queste donne risulta positiva, dove la collochiamo? Da alcuni centri e case rifugio mi arriva notizia che le donne accolte sono terrorizzate dall’inserimento di nuove donne- spiega la presidente di D.i.Re- ma anche per quelle che sono dentro, perché molte hanno la possibilità di uscire. Noi abbiamo dato delle regole: dalla casa non si esce. Potete immaginare, poi, quanto sia difficile tenere occupati i bambini e le bambine. Il fenomeno per noi che gestiamo le case rifugio è moltiplicato, c’è una grande pressione psicologica, tant’è che le psicologhe dei nostri centri sono allertate e stanno cercando di seguire le donne anche a distanza, con tutti i limiti e l’eccezionalità del momento. Per ora il sistema sta reggendo con la presenza delle operatrici che, con mascherine, guanti e distanze di sicurezza, continuano a mantenere la presenza nelle case rifugio”. Dispositivi di sicurezza che, però, sono di difficile reperimento. “Per fortuna con il progetto ‘Leaving violence living safe‘, siamo in contatto con l’Unhcr che si è reso disponibile per darci supporto da questo punto di vista, ma dovrebbero essere i servizi sociali a farlo. Mi rendo conto della situazione grave che stiamo vivendo e credo che dobbiamo restare uniti e fare muro rispetto a questo virus- precisa Veltri- ma so anche che non siamo considerate nel lavoro sociale, che stiamo facendo e continueremo a fare anche senza nessun supporto da chi è preposto”.  Veltri chiede poi “maggiore attenzione e concretezza da parte del presidente del Consiglio Conte, a cui, in questo momento, sarà sfuggito un passaggio su questo tema importantissimo. In ossequio alle direttive, che trovo giuste, credo che da parte del presidente sia necessario recuperare, nella misura in cui questo sia possibile, cercando di dare delle indicazioni rispetto a un fenomeno così stringente e importante nella sua natura strutturale, in un momento in cui le donne sono costrette in convivenze forzate. Un messaggio ce lo saremmo aspettato- osserva- Per noi la violenza non è un fenomeno emergenziale, ma richiede in questo momento uno sguardo e un’attenzione particolari”, se pensiamo che la situazione di una casa rifugio è quella di una chiusura e di un ritiro dalla vita sociale, per mettersi in salvo. 


L’INVITO A FARE SISTEMA

L’invito finale è “a fare sistema tra il 1522 e i centri antiviolenza, assicurando la continuità dei finanziamenti come chiesto dal Grevio (esperti/e di violenza sulle donne del Consiglio d’Europa, ndr)”, rilanciando l’obiettivo della campagna lanciata l’8 marzo ‘Violenza sulle donne. In che Stato siamo?‘: sollecitare lo Stato italiano ad applicare pienamente la Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e la violenza domestica- Perché “nessuna azione è possibile in questo momento così difficile- conclude la presidente di D.i.Re- se i centri non sono resi autonomi, avendo, nello stesso tempo, una continuità di finanziamento”. LEGGI ANCHE: VIDEO |’Violenza sulle donne. In che stato siamo?’: l’8 Marzo parte la nuova campagna D.i.Re.

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