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Vaccino, ginecologa denuncia: “Nel Lazio niente dosi ai liberi professionisti”

"Chiaramente io non parlo solo in mio nome ma in nome anche di tutti i colleghi, infermieri e personale paramedico che lavorano ed operano nelle strutture private"

Pubblicato:12-02-2021 18:56
Ultimo aggiornamento:12-02-2021 18:56

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ROMA – “Illustre presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, illustre assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato, illustre ministro della Sanità Roberto Speranza. Mi chiamo Anastasia Ussia e sono una ginecologa di 65 anni residente a Roma, che esercita attività libero-professionale a Roma”. Comincia cosi’ la lettera di una dottoressa calabrese, in attività nel Lazio ormai da tantissimi anni, operante prevalentemente in strutture sanitarie private. Il medico, parlando con l’Agenzia Dire dopo aver scritto la lettera, denuncia la situazione dei sanitari in strutture non pubbliche spiegando che “a loro non arriva la comunicazione su quando potranno vaccinarsi. Al momento- dice la dottoressa- siamo in attesa di indicazioni dalle Asl che non arrivano. Senza una data indicata, vuol dire che la vaccinazione per noi potrà arrivare anche tra qualche mese e intanto continuamo a lavorare in stretto contatto con pazienti anche in sala operatoria. Cosi’ non siamo sereni. Siamo a rischio noi e i nostri pazienti. Io per senso di responsabilità faccio i tamponi tutte le volte, ma questo non basta a tutelarci”.

La dottoressa Ussia, nella lettera inviata ai vertici della Regione e al ministro Speranza, racconta: “Nonostante iscritta alla campagna vaccinale contro il COVID 19 da tempo con la piattaforma dell’Ordine dei medici di Roma, non sono stata ancora chiamata per fare la vaccinazione e dall’Ordine dei medici mi è arrivata la comunicazione che per noi medici iscritti nelle liste come liberi professionisti al momento le vaccinazioni sono sospese. Sottolineo che da medico con oltre 40 anni di attività e come cittadina non posso che condividere la priorità data al personale sanitario in prima linea in reparti a rischio rispetto a noi che lavoriamo in strutture private ma pur sempre a contatto con pazienti e quindi a rischio potenziale di contrarre e diffondere il virus certamente più alto di altre categorie che hanno già avuto la vaccinazione”.

La dottoressa sottolinea: “Siamo tutti stati penalizzati da questa pandemia e dalle sue conseguenze sanitarie, economiche e sociali. Anche se spaventati e disorientati, noi medici liberi professionisti, come gli altri colleghi delle strutture sanitarie pubbliche, abbiamo continuato a fare il nostro lavoro, onorando la scelta della professione ed assumendocene i rischi.
C’è chi ha pagato, anche nella struttura presso cui lavoro, un prezzo altissimo con la propria vita. Io e i miei colleghi siamo costretti a fare un tampone ogni 2/3 giorni (ogni qual volta entriamo in Sala operatoria o in sala parto e dopo aver fatto l’attività di consulenza in studio. Questo vuol dire che siamo una categoria a rischio di contrarre e diffondere il virus”.


La dottoressa continua: “Non comprendo come sia possibile che nella Regione Calabria mio fratello ortopedico libero professionista sia già stato vaccinato, sua moglie farmacista, anche non esercente, è stata vaccinata, mia cognata oculista di 63 anni libero professionista a Bologna, è stata vaccinata e così tantissimi altri miei colleghi che esercitano la libera professione in altre Regioni (Piemonte, Campania, Lombardia). Ritengo quindi che questa discriminazione inaccettabile si stia verificando solo nella regione Lazio. Credo che è doveroso da parte vostra la pianificazione della distribuzione vaccinale seguendo principi univoci su territorio nazionale e soprattutto giusti ed EQUI rispetto al rischio concreto di esposizione al contagio. Faccio un appello accorato sia al signor ministro che a voi signor Presidente e signor Assessore di provvedere con urgenza alla ridistribuzione delle dosi vaccinali dando a noi medici discriminati senza una ragione la possibilità di essere vaccinati e di poter continuare a lavorare con serenità e dedicarci ai nostri pazienti senza la paura di essere noi stessi a poterli contagiare”.

La ginecologa conclude: “Chiaramente io non parlo solo in mio nome ma in nome anche di tutti i colleghi, infermieri e personale paramedico che lavorano ed operano nelle strutture private. Il 3 gennaio è morta per COVID una infermiera suora della nostra Clinica e noi abbiamo continuato ad andare avanti e a lavorare. Inaccettabile aspettare ancora e subire questa ingiustificata discriminazione. Resto in attesa di un riscontro e soprattutto di una vostra azione”.

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