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VIDEO | Lenzi (Sapienza): “Pochi figli, specie italiana a rischio”

L'Istat conferma anche per il 2019 un record negativo di nascite in Italia

Pubblicato:12-02-2020 14:26
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:59

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ROMA – Si conferma il picco negativo anche per il 2019 delle nascite in Italia con un bilancio, tra nuovi nati e decessi, che si è chiuso con meno 212mila unità: prodotto dalla differenza tra 435mila nascite e 647mila decessi. Fa eccezione il Nord più industrializzato, segue a distanza il Sud fino ad arrivare al Centro, vero e proprio fanalino di coda. Questa è la fotografia restituita dall’Istat nell’ultimo Report ‘Indicatori Demografici anno 2019’.

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Per capire se il cambio generazionale del nostro Paese è a rischio, quali saranno le ripercussioni sociali ma anche le politiche da mettere in campo prima che sia troppo tardi, l’agenzia Dire ha raccolto il commento di Andrea Lenzi, professore di Endocrinologia presso la Sapienza Università di Roma e direttore dell’UOC di Endocrinologia e andrologia del Policlinico Umberto I di Roma.

L’Istat conferma anche per il 2019 un record negativo di nascite in Italia. Tra 20 o 30 anni sarà compromesso il ricambio generazionale? Le cause possono essere i bassi livelli di fertilità?

“Oggi l’Istat registra questo fenomeno che in realtà è antico. Infatti sono decenni che in Italia si registra un basso tasso di natalità con un indice di sostituzione per cui due individui procreano meno di due individui. In questo trend pluridecennale la componente sociale è prevalente, in più va detto che nel nostro Paese c’è la tendenza a fare figli tardi. Dal punto di vista biologico va ricordato che siamo figli dei nostri antenati. Con questo voglio intendere che siamo stati concepiti come specie per riprodurci entro i 20 anni e avere una vita relativamente breve. Oggi invece l’età media del primo figlio, per motivi sociali e economici è posticipata di molto e questo si somma a problemi di fertilità e fecondità sia maschile che femminile che ne conseguono. E’ chiaro dunque che dopo i 35 anni sia l’uomo che la donna da un lato hanno una fertilità ridotta dovuta a un declino fisiologico della fecondità che va associata a tutte quelle patologie che a 20 anni sarebbero irrilevanti e che invece pesano nell’età adulta”.

Secondo lei quali potrebbero essere le politiche socio-sanitarie da adottare a medio e lungo termine per invertire la rotta?

“Bisogna agire sulla cultura e sulla prevenzione sin dall’età scolare, persino alle elementari, facendo capire ai bambini e alle bambine quanto sia importante riprodursi presto. Il rischio a lungo termine- spiega Lenzi- è quello di perdere la specificità della ‘specie italica’ dovuta alla mescolanza dei geni della popolazione italiana con quelle di altre popolazioni migrate, che dal punto di vista genetico è assolutamente un vantaggio. Ripeto, è necessario fare più educazione e formazione tra i giovanissimi e poi, come ulteriore passo, intervenire sulle coppie non appena convivono perché hanno subito la possibilità di procreare in modo cosciente ma vanno supportati economicamente. Non sarò io a dover dare delle indicazioni sulle linee politiche da prendere, ma basta vedere la situazione oltre i Pirenei per capire quali sono le strategie per sostenere le coppie più giovani a mettere su famiglia senza aspettare uno status economico sufficiente per potersi garantire una famiglia. Ma c’è di più: quelle coppie sono incentivate e formalmente aiutate a procreare uno o più figli facendo il benessere della stessa nazione. Infatti- conclude Lenzi- come ha sottolineato lo stesso Presidente Mattarella pochi giorni fa, la famiglia non è il collante della Nazione: è la Nazione stessa”.

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