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Donne e scienza, la Fisica in Italia è un mestiere per soli uomini

ROMA - La Fisica in Italia è un mestiere

Pubblicato:12-02-2019 12:04
Ultimo aggiornamento:12-02-2019 12:04

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ROMA – La Fisica in Italia è un mestiere per soli uomini? La domanda è rimbalzata a più riprese ieri pomeriggio tra le mura dell’aula Amaldi del Dipartimento di Fisica dell’università La Sapienza di Roma nel corso di una conferenza organizzata in occasione della Giornata Internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza, aperta a docenti, ricercatori, dottorandi e studenti che si sono confrontati sui dati più recenti a disposizione. Ad una lettura veloce delle statistiche la risposta è: sì, la Fisica – e più in generale le scienze dure – in Italia resta una disciplina prevalentemente maschile. Se infatti nei dipartimenti di Fisica delle università italiane oggi circa il 20% di personale docente è composto da donne (il 10% intorno al 2000) e il collo di bottiglia si restringe ancor di più se si prendono in considerazione i professori ordinari (solo il 10%), la situazione non migliora se si analizza la percentuale di studentesse, il 30% (il 37% negli Anni 80), che sale al 35% se si guarda alle dottorande e al 40% se si allarga l’analisi alle iscritte a scienze matematiche e di ingegneria. Nel dipartimento di Fisica alla Sapienza di Roma, spiega all’agenzia Dire Maria Grazia Betti, professoressa associata dell’ateneo romano, “siamo solo il 10% dei docenti, anche se abbiamo molte giovani ricercatrici che stanno iniziando la loro carriera qui”. La situazione è migliore a Milano, mentre a Bari non c’è nemmeno un ordinario donna.

“A fronte di un numero elevato di laureate, la percentuale di dottorande a Fisica alla Sapienza è del 20%, sotto la media nazionale del 30%- spiega Paolo Mataloni, direttore del Dipartimento di Fisica, nel corso della conferenza- La situazione migliora se si prende in considerazione la percentuale di ragazze che hanno vinto il concorso di dottorato in Astrofisica”.


Particolarmente significativo il dato del 2017, anno in cui nessuna ragazza ha vinto il concorso di dottorato dell’ateneo romano, in un percorso di discesa della curva che contrasta con la crescita della percentuale delle laureate con 110 e 110 e lode.

Le donne del Cnr e dell’Ifnf 

Che il collo di bottiglia, nonostante i meriti, si presenti non appena le ragazze varcano le porte delle facoltà con l’alloro in testa, è confermato anche dai dati raccolti su Cnr e Ifnf (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), in cui la percentuale delle donne che riescono a far carriera e raggiungere posizioni apicali è irrisoria.

“Nel Dipartimento di Scienze Fisiche e Tecnologie della Materia del Cnr lavorano 725 persone di cui il 36% è costituito da donne– spiega nel corso della conferenza Barbara Ruzicka, dell’Istituto Nazionale dei Sistemi Complessi del Cnr- Il problema sorge quando si considerano i diversi livelli: ricercatore e tecnologo, primo ricercatore-primo tecnologo, dirigente ricerca-dirigente tecnologo. Lì si registra un 78% di donne che occupano la posizione base contro il 4% di quelle impiegate nei profili più alti”.

Una condizione che ricalca quella delle scienziate dell’Infn. “In Infn lavorano 958 ricercatori- sottolinea Marcella Diemoz, dell’Infn-Roma 1- Il 21% è costituito da donne, il 79% da uomini. Se le donne al livello di semplice tecnologo sono il 22%, quelle che hanno un profilo di dirigente tecnologo sono solo l’8%. Stessa cosa per le ricercatrici, il 23%, e le dirigenti di ricerca, il 18%. Da questi dati risulta palese la diminuzione della presenza femminile con la progressione di carriera, il cosiddetto ‘soffitto di cristallo’ che esiste in tutte le discipline”.

Dati confermati da Roberta Antolini, dell’Infn-Laboratori Nazionali del Gran Sasso, che ha illustrato il progetto ‘Gender Equality Network in the European Research Area’ (GENERA), finanziato dall’Ue per 3 milioni di euro con l’obiettivo di migliorare la parità di genere nel settore di ricerca in Fisica.

“La presenza femminile in tutte le istituzioni monitorate in media è sotto il 30%- fa sapere- Nel livello di entrata le donne sono tra il 20 e il 40%, a livello apicale sotto il 20%, nel livello top l’11%”.

Gli stereotipi

Alla base del fenomeno, secondo Flavia Zucco dell’associazione ‘Donne e Scienza’, ci sono due stereotipi. Un generale pregiudizio sulle donne, che “deriva dal dualismo aristotelico” sopravvissuto nel corso dei secoli. E gli stereotipi rispetto alla scienza, che viene più spesso associata alla conoscenza razionale maschile, contro una conoscenza femminile considerata emozionale. Ma le donne scienziate, devono, secondo Zucco, giocare le loro carte in una società e una scienza che stanno cambiando, perché “hanno dimostrato di avere visioni ampie ed integrate del mondo, menti capaci di valicare i confini disciplinari, intuizione e immaginazione”, oltre ad essere “soggetti meno contaminati da modelli culturali dominanti”, dotati “di un forte senso di responsabilità”.

Sono proprio “i pregiudizi” il principale ostacolo alla crescita delle scienziate secondo Flaminia Fortuni, ventisettenne dottoranda in Astrofisica della Sapienza, tra le curatrici della mostra ‘Da Roma al mondo’ esposta in occasione della Giornata. “Una donna deve sempre dimostrare di essere di più rispetto al percorso che fa un uomo normalmente– confessa Flaminia alla Dire- Tutti hanno delle prove da superare, ma le donne devono mettersi sempre più in gioco, dimostrare di più e questo è il principale ostacolo che ho riscontrato nella mia particolare esperienza e parlando con altre ricercatrici e studentesse di dottorato. Le donne sono ritenute persone che agiscono in base all’emozione, all’istinto, quindi non capaci di razionalità e di fare ricerca scientifica”.

Cosa fare per abbattere pregiudizi e stereotipi

Annalisa Fasolino propone l’esempio della Rabdoud University di Nijmegen, in Olanda, dove è stata istituita una commissione dedicata al miglioramento della partecipazione delle donne nella scienza. “L’azione più grande e costosa è stata quella di destinare 50mila euro per donne in gravidanza da parte della facoltà, da utilizzare un anno e mezzo dopo il congedo di maternità con un piano molto libero- spiega- Questo perché quando le donne hanno un figlio tendono a scomparire dai radar delle istituzioni scientifiche. Poi abbiamo realizzato attività di mentoring per pensare al futuro, oltre ad aver messo a disposizione due posizioni per donne in una call nel settore delle scienze”.

E, al di là delle azioni pratiche, a cambiare deve essere il riferimento culturale: “In una copertina della rivista ‘New scientist’ viene ripresa una visione ottocentesca- conclude Zucco, commentando l’immagine di una sezione della testa di una donna che al posto del cervello ha un bambino- Questa immagine fa riferimento ad una cultura per cui l’unica dimensione di realizzazione di una donna alla fine è la maternità. Io voglio leggerla in maniera diversa. Il bambino è il futuro e il futuro è nella testa delle donne”.

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