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Hebron, militari israeliani picchiano e bendano sedicenne

L'accusa della ong israeliana B'tselem: delle 3000 denunce per violenze contro i militari israeliani nel 2015, solo 11 colpevoli sono stati puniti

Pubblicato:11-12-2017 17:38
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:58

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ROMA – Un gruppo di soldati israeliani la scorsa settimana ha malmenato un palestinese di 16 anni a Hebron, durante le proteste occorse in risposta alla decisione del presidente americano Donald Trump di proclamare Gerusalemme capitale dello Stato di Israele.

Il video, diffuso dall’organizzazione israeliana B’tselem e ripreso anche dal quotidiano locale ‘Haaretz’, mostra un giovane, Fawzi al-Juneidi, circondato da una dozzina di militari che, mentre lo arrestano, lo perquotono ripetutamente alla testa e sul corpo. Alla fine il ragazzo viene anche bendato: la fotografia, che è stata scattata dai giornalisti presenti sul posto, oggi è stata rilanciata dall’agenzia turca ‘Anadolu’ in un articolo dal titolo ‘Il ragazzo palestinese simbolo delle proteste per Gerusalemme’.


B’tselem spiega che il video è stato realizzato venerdì scorso da un residente, che poi avrebbe riferito all’organizzazione di aver sentito il giovane gridare per le percosse subite. Il quotidiano israeliano conferma che le autorità hanno disposto un’inchiesta per far luce sulla condotta tenuta dai militari responsabili della vicenda. ‘Anadolu’ riferisce anche il racconto dello zio del ragazzo, Rashad al-Juneidi, secondo il quale il nipote sarebbe stato arrestato per errore. “Aveva finito la scuola e stava andando a lavorare, non era un manifestante”, ha spiegato, aggiungendo che prima di finire in carcere “è stato brutalmente picchiato”.

L’incidente mette in luce il crescendo di tensioni in Cisgiordania e Gaza dopo la mossa della Casa Bianca di riconoscere unilateralmente Gerusalemme come capitale di Israele. B’tselem – che ha già condannato questa scelta nei giorni scorsi – ha colto il caso al-Juneidi per sollevare l’attenzione sulle violenze che i palestinesi subirebbero per mano dell’esercito israeliano: “Il nostro ultimo report – ha sottolineato l’ong in un comunicato – ha rivelato che delle oltre 2000 denunce di violenza e abusi presentate nel 2015, 199 sono state archiviate senza alcun provvedimento (contro i responsabili, ndr), 30 non hanno previsto neanche specifiche indagini, mentre i colpevoli sono stati puniti solo in 11 casi“.

Quindi la conclusione di B’tselem: “Questa è la routine di chi vive sotto occupazione: gli interventi durante le proteste dei palestinesi sono violenti, a prescindere che si tratti di manifestazioni pacifiche o meno, mentre gli organizzatori vengono sempre incriminati”, nell’ambito di “procedure regolarmente utilizzate dalle forze di sicurezza israeliane”.

Secondo l’ong, queste procedure “sono in linea con la politica seguita dalle autorità israeliane, mentre ai palestinesi non viene data la possibilità di opporsi all’occupazione, né è riconosciuto il diritto alla libertà di espressione e manifestazione pacifica”.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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