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I Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di 1 miliardo di dollari al giorno per proteggersi dalla crisi climatica

Le stime dell'Onu in apertura della Cop29. Babayev: "Stiamo andando verso la rovina climatica"

Pubblicato:11-11-2024 09:20
Ultimo aggiornamento:11-11-2024 11:23
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Cop29
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Di Mario Piccirillo e Vincenzo Giardina

ROMA – Finanza e ambiente. In apertura della Cop29, la ventinovesima Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc). Il tema principale in agenda resta la “sostenibilità”: i finanziamenti necessari alle comunità vulnerabili per costruire una protezione contro gli impatti climatici. Secondo un rapporto del Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep), i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di circa 1 miliardo di dollari al giorno solo per far fronte agli impatti meteorologici estremi attuali. E possono contare solo circa 75 milioni di dollari al giorno. Un decimo.

Mentre i finanziamenti per il cosiddetto “adattamento” aumentano un po’ (da 22 miliardi di dollari nel 2021 a 28 miliardi di dollari nel 2022), gli impatti devastanti della crisi climatica aumentando molto più rapidamente.


Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres l’ha detto in termini più crudi: “La calamità climatica è la nuova realtà e non stiamo tenendo il passo. La crisi climatica è qui. Non possiamo rimandare la protezione. Dobbiamo adattarci, ora. I responsabili di tutta questa distruzione, in particolare l’industria dei combustibili fossili, raccolgono profitti e sussidi enormi”. Secondo l’Onu servirebbero 230-415 miliardi di dollari.

Un appello ad “agire”, a “unirsi” e a “dare risultati” ha aperto dunque la conferenza stamane a Baku, in Azerbaigian. A pronunciare queste parole è stato Sultan al-Jaber, presidente della precedente Cop, che si è tenuta lo scorso anno negli Emirati Arabi Uniti. Il dirigente ha ricordato l’impegno concordato a Dubai dagli Stati membri dell’Onu rappresentati ad “abbandonare gradualmente i combustibili fossili”. Sia gli Emirati Arabi Uniti che l’Azerbaigian sono Paesi ricchi di idrocarburi, esportatori di riferimento di combustibili fossili, un fattore ritenuto rilevante per il surriscaldamento planetario.

Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, tra il 2014 e il 2023 l’aumento delle temperature globali si è attestato in media sopra gli 1,2 gradi centigradi rispetto alla fine del XIX secolo. Alcuni giorni fa, stime del servizio europeo Copernicus hanno indicato che è “praticamente certo” che il 2024 risulterà l’anno più caldo mai registrato.

“Stiamo andando verso la rovina”, ha detto Mukhtar Babayev, ex manager petrolifero ministro dell’Ambiente e delle risorse naturali dell’Azerbaigian, che ha assunto stamane a Baku la presidenza della Cop29. Secondo il responsabile, che è intervenuto alla sessione inaugurale dei lavori, le conseguenze provocate dal surriscaldamento planetario “non sono problemi futuri” ma attuali.

Babayev è stato per 26 anni dirigente di Socar, società statale degli idrocarburi dell’Azerbaigian, un Paese esportatore di riferimento di petrolio e gas naturale. I combustibili fossili sono considerati un fattore di rilievo tra quelli che contribuiscono ai cambiamenti climatici. A condizionare le prospettive della Cop29 è la possibilità che gli Stati Uniti, secondo Paese al mondo dopo la Cina per emissioni di Co2, si ritirino dall’Accordo di Parigi siglato nel 2015.

Venerdì scorso, il quotidiano New York Times ha riferito che i collaboratori del neo-eletto presidente Donald Trump hanno già preparato gli ordini esecutivi e gli annunci che accompagnerebbero la decisione.
Sempre secondo il giornale, la nuova strategia americana punterebbe su un aumento delle trivellazioni e delle attività di estrazione mineraria.

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