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In migliaia in fuga dall’Etiopia, l’esperto: “Un incubo anche per l’Europa”

Il professore etiope Awol Allo lancia l'allarme: "In 6.000 sarebbero già fuggiti dal Tigray" e altri 200.000 potrebbero farlo nelle prossime settimane. E presto potrebbero riversarsi nel Mediterraneo

Pubblicato:11-11-2020 13:27
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:13
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di Brando Ricci

ROMA – Già 6.000 persone avrebbero superato il confine dell’Etiopia e altre 200.000 potrebbero fuggire verso Khartoum nelle prossime settimane, con il proseguire del conflitto “per decidere il futuro politico del Paese”, dove il primo ministro Abiy Ahmed sta cercando di imporre un sistema “fortemente centralizzato a dispetto delle differenze regionali che lo caratterizzano”. E il rischio è che un domani possano raggiungere l’area del Mediterraneo e l’Europa. È la lettura dell’esperto etiope Awol Allo, professore associato alla Keele University, nel Regno Unito, nonché firma del portale African Arguments. L’agenzia Dire lo contatta al telefono mentre continua un’offensiva militare disposta da Addis Abeba nella regione settentrionale del Tigray.

L’intervento dell’esercito ha seguito mesi di tensione tra l’esecutivo federale e il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), forza politica di riferimento nell’area. Punto di svolta, a settembre, la decisione di organizzare elezioni regionali senza l’autorizzazione della Commissione elettorale di Addis Abeba. Tutte le consultazioni erano state infatti posticipate al 2021, ufficialmente a causa della pandemia di Covid-19. Da quel momento è partita un’escalation che è giunta fino all’intervento militare, al via la settimana scorsa.


etiopia tigray

 

Secondo Allo, la situazione nel Tigray potrebbe trasformarsi in “un incubo” per la regione del Corno d’Africa, che rischia di “innescare importanti flussi migratori, in grado di raggiungere il Mediterraneo e l’Europa nel prossimo futuro”. A questo si aggiunge la denuncia del direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) in Etiopia, Sajjad Mohammad Sajid, che sottolineano la necessità urgente di accesso umanitario nella zona. “Cibo e carburante servono subito” ha riferito il dirigente all’emittente Al Jazeera, aggiungendo che oltre due milioni di persone sono state colpite dalle conseguenze delle ostilità.

Ancora provvisorio e non confermato invece, il bilancio delle vittime. Secondo l’Ethiopian Broadcasting Corporation (Ebc), emittente televisiva di Stato, nel conflitto sarebbero rimasti uccisi almeno 550 combattenti del Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf). Questa cifra non è stata ancora confermata da un alcun organismo indipendente. L’esercito etiope ha invece negato che gli attacchi della regione abbiano visto il coinvolgimento delle forze armate della vicina Eritrea, come denunciato dal leader del Tplf, Debretsion Gebremichael. La premessa di Allo è che “il blackout totale di telecomunicazioni e internet nella regione ci impedisce di avere molte informazioni”. L’esperto crede però che sia possibile fare alcune valutazioni di natura politica.

Secondo Allo, della stessa comunità di Abiy Ahmed, primo capo di governo etiope di origini oromo, il primo ministro “ha intenzione di espandere una guerra già in corso nel resto del Paese”. Il professore sottolinea che “se il Tigray fosse stato impreparato a livello militare e logistico come la regione dell’Oromia, il governo avrebbe semplicemente imposto il suo volere con le forze di polizia, come fatto lì”. La regione settentrionale, stretta tra il confine con l’Eritrea e quello con il Sudan, sarebbe invece “pesantemente armata e molto più organizzata”. Normale allora, questa la tesi, che sia scaturito un conflitto. Secondo Allo, “il futuro politico del Paese dovrebbe essere deciso dai cittadini e non imposto invece con le armi”.

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L’esperto dice che Abiy Ahmed sta cercando di “imporre una vecchia visione restauratrice, basata sulla centralità dello Stato”. Un modello, questo, inattuabile in un Paese “che fu un impero e che oggi racchiude al suo interno decine di culture e lingue diverse”. Un’eterogeneità garantita ora, almeno nominalmente, da un sistema federale articolato sulla base delle connotazioni etniche delle regioni. Il modello di uno Stato centralizzato, denuncia Allo, è invece “già stato utilizzato in passato e ha fallito”. Nei giorni scorsi il presidente tigrino e capo del Tplf, Debretsion Gebremichael, ha denunciato l’intervento dell’esercito eritreo al fianco delle forze armate di Addis Abeba. Uno scenario “altamente probabile”, secondo Allo, convinto che “il presidente eritreo Isaias Afwerki e Abiy Ahmed sono uniti dall’odio nei confronti del Fronte tigrino”.

Il Tplf, tra il 1991 e il 2018 partito chiave della coalizione di governo in Etiopia, è stato in prima fila nel conflitto con l’Eritrea, terminato ufficialmente con l’accordo del 2018 che è valso ad Abiy Ahmed il premio Nobel per la pace. Secondo Allo, ora “è tempo di rivincita per Afewerki”. Una rivincita che troverebbe una sponda, ragiona il professore, nei timori del premier etiope “che considera il Tplf una fonte di instabilità per i suoi progetti per l’Etiopia”. 

 

 

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