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ROMA – Con la fine della stagione delle piogge il conflitto armato in Sudan è destinato a riprendere con maggiore intensità: lo sottolinea Alda Cappelletti, consulente di Intersos, organizzazione impegnata nel sostegno alle comunità sfollate e rifugiate sia nella regione del Darfur che oltre il confine in Ciad.
Della situazione la responsabile parla di ritorno da una missione sul posto, a margine dello Humanitarian Congress al Museo dell’Ara Pacis. Cappelletti è giunta dal Ciad nell’area di El Geneina, la capitale dello Stato del Darfur occidentale, polo per la fornitura di beni essenziali alle comunità sfollate.
“La regione”, dice l’operatrice, “è una delle più colpite dal conflitto, sia per la crisi umanitaria sia per le dinamiche etniche che richiamano la prima guerra combattuta all’inizio degli anni Duemila”. In evidenza nel racconto le difficoltà della risposta umanitaria, in particolare per il trasporto e la consegna degli aiuti. “E’ molto complicata dalle ostruzioni poste dalle parti in conflitto” denuncia Cappelletti.
“In alcune aree è stata dichiarata la carestia, anche nel nord del Darfur, dove si trova El Fasher, che adesso è uno degli hotspot dei combattimenti”.
Da questa città giungono notizie di offensive e tentativi di assedio da parte delle Forze di supporto rapido, le unità paramilitari guidate dal generale Mohamed Dagalo detto “Hemeti” e contrapposte ai reparti dell’esercito fedeli a un altro generale, Abdel Fattah Al-Burhan. Cappelletti non si esprime sull’andamento degli scontri ma evidenzia come le prospettive di una soluzione “per via diplomatica” restino molto incerte.
“Al contrario”, sottolinea l’operatrice, “con la fine della stagione delle piogge a ottobre ci si aspetta una ripresa dei combattimenti con un’intensità ancora maggiore”.
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