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A Milano il Festival della Cultura Paralimpica. Pancalli: “Basta retorica, l’inclusione sia reale”

La terza edizione della manifestazione organizzata dal Comitato italiano paralimpico si svolge dal 12 al 14 ottobre alla Fabbrica del Vapore

Pubblicato:11-10-2022 16:01
Ultimo aggiornamento:11-10-2022 16:01

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MILANO – Questo è un viaggio iniziato nel 2018 da una stazione ferroviaria di Roma, proprio a sottolineare tutto il percorso ancora da fare sul binario dell’inclusione, dell’integrazione, dei diritti per le persone disabili. Poi lo stop per la pandemia e oggi il ritorno in presenza, finalmente. È di nuovo Festival della Cultura Paralimpica, questa volta a Milano per la terza edizione dopo la Capitale e Padova: da mercoledì 12 a venerdì 14 ottobre dibattiti, incontri, mostre, ospiti e presentazioni di libri con un unico denominatore comune, l’inclusione. Un’iniziativa cui “diamo grande importanza”, spiega il presidente del Comitato Italiano Paralimpico, Luca Pancalli, che sottolinea come questo mondo “non deve essere soltanto capace di emozionare grazie ai nostri meravgliosi atleti ma deve contaminare la società civile, garantendo una percezione diversa della disabilità, aiutando il Paese a crescere e diventare più equo e solidale”.

Il Festival quest’anno ha scelto due location nella città che sarà protagonista (insieme a Cortina) tra meno di quattro anni con i Giochi Olimpici e Paralimpici del 2026. Presentazione in scena al 47esimo piano della Torre Allianz, dove il futuro è già oggi, il resto del programma alla Fabbrica del Vapore. Dopo la metafora del viaggio, ecco quella della costruzione. “Milano l’abbiamo scelta proprio per sottolineare l’importanza dei Giochi – conferma Pancalli – nel mondo paralimpico significa organizzare sì il grande evento agonistico, ma soprattutto il futuro: bisogna lasciare un’eredità tangibile e quella intangibile in particolare, ovvero quella culturale partendo magari da scuole e volontariato. Milano-Cortina 2026 può essere la scintilla di un percorso iniziato tanti anni fa e mi auguro che da qui nasca la consapevolezza in termini di politica sportiva di quanto dobbiamo ancora fare per essere pronti“.


Mettendo magari da parte la retorica. “Ce n’è tanta, sì. Sono da 42 anni su una sedia a rotelle e gli argomenti sono sempre gli stessi“, dice Pancalli. “Molte cose sono sicuramente cambiate in meglio ma c’è sicuramente tanto da fare ancora, e la colpa forse è stata aver racchiuso il tema dell’inclusione nel tema del politicamente corretto. Ecco, il Festival serve a questo: a fare integrazione reale, con lo sport strumento principale”.


Enti e istituzioni, intanto, hanno fatto squadra. A indossare la stessa ‘divisa’ del Comitato Paralimpico c’erano tra gli altri anche il Coni con il presidente Giovanni Malagò, Sport e Salute con il suo numero uno, Vito Cozzoli, le istituzioni locali con il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, e l’assessore comunale allo Sport, Martina Riva. Il fronte è comune.

“Come Regione abbiamo sempre supportato lo sport”, sottolinea Fontana, convinto che “tutti dobbiamo imparare dagli atleti paralimpici come si affrontano le difficoltà“. Lo sport “è una scuola di vita, insegna ad affrontare anche le difficoltà che sembrano insormontabili“, gli fa eco il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, intervenuto con un messaggio.

Mentre per Riva “il Festival ci permette di portare a Milano temi che sono ancora poco affrontati. Nel 2026 non arriveremo alla perfezione, non arriveremo all’abbattimento delle barriere architettoniche ma lo sforzo della società deve essere quello di essere inclusiva anche sul piano pratico“. Anche Sport e Salute è al fianco del Comitato Paralimpico: “Lo sport rende uguali, non ci sono differenze: è di tutti e per tutti. È questo il messaggio che sta lanciando il Cip e noi lo sosteniamo con azioni concrete, a partire dalla scuola”, afferma Cozzoli.

E poi ci sono i “cugini”, come li chiama Malagò. Gli atleti olimpici che possono contare su un mondo “messo meglio rispetto a quello dei paralimpici: loro sono partiti dopo e troppo hanno fatto, ma resta ancora una questione di cultura. Nello sport c’è sicuramente un aspetto di emulazione e nel loro settore è ancora più evidente, perché lo sport risolve gran parte dei problemi quotidiani delle persone con disabilità”.

Ancora oggi Malagò definisce Coni e Cip “due facce della stessa medaglia”. L’unione tra i due Comitati sarebbe dunque “un sogno che dimostrerebbe il raggiungimento della parità”. Lo sa bene Pancalli, per il quale “manca l’ultimo tassello del puzzle iniziato venti anni fa. Abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissati, adesso mancano due missioni. La prima è rendere lo sport effettivamente un diritto per le persone disabili, e qui però abbiamo bisogno anche dell’investimento della politica e di tanti altri attori. Poi viene la fusione tra il mondo olimpico e quello paralimpico e anche in questo caso i luoghi comuni non mancano: non basta dire mettiamoci insieme, ma bisogna costruire un percorso culturale, fare parte di un corpo comune con un obiettivo comune e con strategie comuni. In altri Paesi al mondo si è fatto già, magari con un passaggio che assomiglia più a una acquisizione di un ramo d’azienda: in Italia non vogliamo tutto questo – conclude Pancalli – ci stiamo lavorando da venti anni e credo che piano piano i tempi stiano maturando”.

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