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Fragilità ossea, l’ortopedico Caiaffa: “ll traumatismo è la prima causa dei postumi invalidanti”

Lo ha spiegato alla Dire, al termine del congresso nazionale Otodi, il presidente degli Ortopedici traumatologi ospedalieri d'Italia e capo dipartimento di Ortopedia presso la Asl di Bari

Pubblicato:11-10-2021 12:25
Ultimo aggiornamento:11-10-2021 12:38

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ROMA – Le fratture da fragilità ossea sono le più numerose e in costante crescita tanto che ogni tre secondi in tutto il mondo si verifica una frattura da fragilità che interessa soprattutto la popolazione più anziana. Con l’aumento dell’aspettativa di vita aumenta, di conseguenza, anche la fragilità ossea correlata all’invecchiamento e causata dall’osteoporosi.

In Italia le fratture da fragilità riguardano infatti oltre 500.000 persone, soprattutto over 65. Nelle persone giovani il trauma è altrettanto diffuso e grave ed è legato piuttosto a traumi maggiori come: incidenti stradali, sul lavoro, etc. In caso di frattura, nella maggior parte dei casi si procede con un intervento di osteosintesi, ma fra il 7 ed il 10% delle fratture delle ossa lunghe incorrono in problemi di guarigione.

Come possono essere gestite le aspettative sempre più alte di quei pazienti che credono di risolvere la frattura in tempi ragionevoli? E soprattutto come poter tornare a fare la vita di sempre? Quanto è importante avviare percorsi formativi adeguati a preparare la futura classe di specialisti?

Per rispondere a queste domande l’agenzia di stampa Dire ha raggiunto Vincenzo Caiaffa, presidente degli Ortopedici traumatologi ospedalieri d’Italia (Otodi), capo dipartimento di Ortopedia presso la Asl di Bari e direttore della struttura complessa di Ortopedia e Traumatologia ‘Di Venere’ di Bari. Un tema doveroso da affrontare, dal momento che Caiaffa ricorda che “il traumatismo è la prima causa che in Italia lascia dei postumi invalidanti”.


Si è appena conclusa la tredicesima edizione del congresso di traumatologia nazionale organizzato da Otodi, Società che conta oltre 4.000 iscritti. Qual è il bilancio di questa edizione 2021 che si è svolta a Riccione?

“Il bilancio è estremamente positivo. Questo ‘Trauma Meeting’ che si è appena concluso segna la ripresa delle attività e dei congressi in presenza post pandemia. Per questa edizione 2021 abbiamo avuto oltre 1.500 iscritti, 64 stand e ben 400 espositori delle aziende specialiste in device”.

Sicuramente il congresso Otodi, prosegue il presidente Caiaffa, “si conferma uno degli eventi più importanti in Italia e stavolta ha superato, in termini di partecipazione e di attività, l’ultima edizione del 2019 in epoca pre Covid. E questo come presidente non può che farmi piacere”. Quest’anno si è parlato soprattutto di trattamento degli esiti e/o fallimenti dell’osteosintesi nelle fratture articolari dell’anca e del ginocchio. I
Inizierei con il chiederle quanti italiani sono interessanti dal problema e c’è una fascia d’età maggiormente a rischio?

“Non siamo in grado di offrire un numero preciso dell’entità del problema in Italia, ma possiamo affermare che il traumatismo è la terza causa di incidenza in Italia delle patologie e che è la prima causa che lascia dei postumi invalidanti. Purtroppo, va detto che non sempre quando si verifica una frattura poi si raggiunge una guarigione completa. Spesso si riscontrano dei postumi che alterano la capacità e la funzionalità di vita e di relazione. Quando non c’è recupero adeguato della fisiologica funzione del distretto compromesso si rende necessario un ulteriore intervento. Questo è riassumendo uno dei temi al centro del congresso di quest’anno, ovvero di quale possa essere il migliore intervento possibile nei postumi di un trauma non adeguatamente guarito. La tendenza nel paziente giovane è quella di ottimizzare e rispettare la morfologia fratturativa tentando un recupero con i mezzi di sintesi. Quando questo non è possibile bisogna optare per impianti protesici molto evoluti che il nostro Sistema sanitario nazionale (Ssn) garantisce. Va detto, però, che mentre il ricorso alla protesi comporta un scelta ‘semplice’ per il chirurgo nei pazienti anziani, visto che queste protesi hanno un vita di circa 30 anni, il discorso cambia nel paziente giovane. In quest’ultimo caso va chiarito all’assistito che questo modello protesico non durerà per tutta la vita e che dunque negli anni andrà sostituito”.

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