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ROMA – “La ripresa delle attivitĂ politiche dopo le vacanze, in un contesto di generale incertezza – dal confronto con Bruxelles sulla manovra di Bilancio, alle nomine Rai, dal dossier ‘balneari’ (le concessioni saranno prorogate fino al settembre 2027 a seguito del decreto del Consiglio dei ministri del 4 settembre) all’Autonomia differenziata fino allo ius scholae e al caso dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano – può partire dai dati confortanti sull’occupazione. Come riportato dai media con grande enfasi, l’occupazione nel nostro Paese raggiuge livelli record, superando, secondo i dati Istat relativi a luglio, la soglia di 24 milioni di occupati, con un aumento dei contratti a tempo indeterminato e un calo della disoccupazione, che tocca il 6,5%, il minimo da oltre 16 anni”.
Ad analizzare la situazione è Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nell’appuntamento di ripresa della sua rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.
“Tuttavia- continua- non è tutto oro ciò che luccica. Non solo perchĂ© i giovani senza impiego sono il 20%, ma anche per il persistere di una situazione di stallo che impedisce alle aziende di disporre di giovani neolaureati di valore, privandole per il futuro di nuovi manager eccellenti. Nella mia esperienza come docente all’UniversitĂ Link, vedo troppi bravi studenti giĂ orientati a trasferirsi all’estero. Uno su tre degli emigrati del nostro Paese sono giovani tra i 25 e i 34 anni, per un totale di oltre 30 mila individui, di cui quasi la metĂ vantano una laurea o un titolo superiore (dati Istat). Si tratta di una perdita finanziaria, oltrechĂ© di capitale umano. Il costo dell’istruzione di questi laureati, finanziata dallo Stato italiano, dalle scuole dell’obbligo fino alla laurea, ammonta a oltre tre miliardi di euro”.
 “Secondo Confindustria- evidenzia Livolsi- una famiglia spende circa 165mila euro per crescere ed educare un figlio fino ai 25 anni, mentre lo Stato eroga 100mila euro per scuola e universitĂ . Sempre l’Istat stima una perdita di piĂą di 25 miliardi di euro in gettito fiscale dovuta ai laureati che emigrano all’estero. Una delle motivazioni a emigrare per i giovani laureati è lo stipendio. Secondo il rapporto Almalaurea 2024 i laureati di secondo livello trasferitisi all’estero percepiscono a un anno dalla laurea 2.174 euro mensili netti, un +56,1% rispetto ai 1.393 euro di chi rimane in Italia. A cinque anni dalla laurea, fuori dai confini nazionali la retribuzione è di 2.710 euro, con un +58,7% rispetto ai 1.708 di quella in Italia”. “Questa situazione ha conseguenze ancora piĂą profonde: i giovani italiani sono disincentivati a laurearsi- continua Livolsi- Nel 2023, l’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi in Europa per la percentuale di giovani laureati nella fascia d’etĂ 25-34 anni, con solo il 29,2%, rispetto al il 37,1% della Germania, il 50,4% della Francia e il 50,5% della Spagna (dati Istat). Per giunta, si va creando una situazione legata alla famiglia d’origine, contraddicendo il principio della nostra Repubblica basata sul merito, in cui i meritevoli dovrebbero essere sostenuti negli studi. In Italia, la probabilitĂ che un giovane ottenga una laurea varia a seconda del livello di istruzione dei genitori. Se almeno uno dei genitori è laureato, il 67,6% dei giovani riesce a conseguire una laurea. Questa percentuale scende drasticamente al 39,1% nel caso in cui uno dei genitori abbia solo un diploma di scuola superiore e precipita al 12,3% quando i genitori possiedono solo la licenza media (dati Eurostat)”.
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