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In Italia si legge poco e male: non lo fanno i giovani ma nemmeno i laureati e gli imprenditori

Arrivano però buone notizie sul fronte della vendita di libri e del numero di copie vendute: i dati sono in crescita

Pubblicato:11-09-2019 10:40
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:41

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ROMA – In Italia oggi si legge poco (il 60% delle persone tra i 15 e i 74 anni legge un libro all’anno), la qualità della lettura in termini di libri letti (il 45% ne legge uno ogni quattro mesi) e di tempo dedicato (solo il 9% nel 2019 vi ha dedicato più di un’ora) è scadente. E’ il quadro fosco che emerge da un nuovo studio dell’Associazione italiana editori, presentato durante la cerimonia – in corso all’Auditorium Parco della Musica – per i 150 anni di vita. Un aspetto ancora più preoccupante è quello che emerge nelle fasce più giovani della popolazione: solo il 24,8% ha elevate competenze nella comprensione dei testi. In pratica l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i maggiori Paesi europei. Questo si riflette inevitabilmente nei bassi indici di lettura e permette di comprendere anche le difficoltà che una parte della popolazione ha nell’interpretare i processi di trasformazione sociale, nell’accedere al mercato del lavoro, nel capire le dinamiche in atto, i quadri geopolitici, nel tenere collegate tra loro informazioni che provengono da fonti e canali diversi. Il tutto in una cornice di decrescenti investimenti nella scuola e nella formazione professionale, nell’assenza di infrastrutture per la lettura (biblioteche pubbliche e scolastiche, librerie di prossimità) e con un basso indice di popolazione laureata: 27,8% rispetto alla media Ue28 del 40,7%. 

Il 26,7% di chi ha una laurea, inoltre, non ha letto alcun libro nel corso dell’anno precedente. Parliamo di più di un laureato su quattro. Il 40,8% di imprenditori, dirigenti di azienda, in genere di chi occupa ruoli apicali nella grande, media e piccola industria italiana, dichiara di non aver letto alcun libro: nessun romanzo, nessun libro di saggistica di qualunque genere e argomento (geopolitica, trasformazioni sociali, marketing, effetti della globalizzazione dei mercati, comunicazione, sviluppo. Infine il dato sul digitale, che non ha allargato la base di lettura. I mercati europei degli e-book (Regno Unito escluso) valgono tra il 4% e il 6% di quello trade (in Italia siamo vicini al 5%). E ancora oggi solo il 5% dei lettori italiani legge libri solo in digitale. Nel frattempo si sono aggiunti gli audiolibri che vengono letti dallo smartphone. La lettura di libri di carta nel 2019 è praticata dal 60% dei 15-75enni (nel 2017 dal 62%); quella degli e-book dal 24% (nel 2017 dal 27%); e l’ascolto di audiolibri dal 6%.

NEI PRIMI SEI MESI 2019 CRESCITA 2,9% COPIE LIBRI

Nonostante le sconfortanti notizie sulla diffusione della lettura in Italia, arrivano buone notizie sul fronte della vendita di libri e del numero di copie vendute. Il primo semestre del 2019 fa segnare, infatti, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, una crescita a valore del +3,8% (530 milioni di euro) e una crescita più contenuta in termini di copie +2,9% (39,7 milioni di copie vendute).  I dati sono relativi alle vendite di soli libri di varia adulti e ragazzi nei canali trade (librerie, librerie online e Grande distribuzione organizzata, compresa Amazon) e sono stati diffusi durante la cerimonia di oggi per i 150 anni dell’Associazione italiana editori.


PRODUTTIVITÀ PIÙ ALTA IN REGIONI DOVE SI LEGGE

I libri cambiano la vita. Di più, cambiano il Paese. La conferma arriva da un’altra ricerca commissionata dall’Associazione italiana editori (Aie) a un pool di ricercatori dell’Università di Bologna e del Piemonte orientale. Lo studio fa seguito a una precedente analisi del 2006, sempre per Aie, che evidenziava lo stretto nesso tra lettura e sviluppo economico e sociale: le Regioni con più alti tassi di lettura avevano fatto registrare tassi di crescita della produttività più alti, anche a parità di altri fattori, sia riferiti a variabili strettamente economiche, sia connessi al capitale umano quali appunto i livelli di istruzione formale. La ricerca dimostrava chiaramente come tassi più elevati di lettura producessero tassi di crescita della produttività di assoluto rilievo, in grado di cambiare le capacità competitive delle regioni in cui si verificavano.

Tredici anni dopo è ancora così? Sì, esiste un valore economico della lettura, in grado di favorire in modo diverso lo sviluppo territoriale. Analizzando i dati regionali dal 1995 al 2016, gli autori dello studio hanno evidenziato il legame tra la dinamica della produttività del lavoro e quella degli indici di lettura, nel senso che “la dinamica ritardata di tale variabile esercita un effetto significativo sulla dinamica della produttività del lavoro”. Investire in promozione della lettura, specie nelle zone con tassi di lettura più bassi, è evidentemente un necessario investimento per la crescita del Paese. 

È la riduzione generalizzata e persistente degli indici di lettura a partire dal 2011 ad aprire un quadro diverso e sconfortante per l’Italia, che da allora sembra aver perso di vista con la stessa chiarezza la correlazione tra accumulazione della conoscenza e lettura e, in ultima analisi, il contributo che il lavoratore, attraverso questa conoscenza, offre al processo produttivo. Lo studio evidenzia un secondo risultato: la crisi produce un effetto negativo sugli indici di lettura, più accentuato e duraturo nelle regioni del Sud, già in partenza svantaggiate. Piani organici e prolungati nel tempo per lo sviluppo della lettura, dell’istruzione, delle infrastrutture dedicate (biblioteche pubbliche e scolastiche, librerie) sono invece le leve di sviluppo da manovrare per tornare a crescere.

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