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Genova, nel ghetto la “prostituzione buona” dei transgender

C'è un altro tipo di prostituzione che mantiene un presidio sul territorio e non ha sfruttamento

Pubblicato:11-09-2017 15:36
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:40

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GENOVA – A Genova c’è anche una prostituzione “buona” e che non produce sfruttamento. E’ quella dei sex workers transgender che presidiano piazza Don Gallo, punto di riferimento del “Ghetto”, piccolo antro del centro storico incastonato tra piazza della Nunziata e via del Campo. E’ quanto spiega questa mattina Domenico Chionetti, portavoce della Comunità di San Benedetto al porto fondata dallo stesso don Gallo, ai deputati della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di sicurezza e degrado delle città e delle periferie in vista al capoluogo ligure. Prostituzione e spaccio sono i primi punti all’ordine del giorno nell’elenco delle difficoltà dei caruggi.

“A fronte della prostituzione nella zona della Maddalena che produce sfruttamento attraverso la locazione degli stabili e con un’organizzazione strutturata che gestiste un ampio turnover, suddiviso anche per nazionalità- spiega Chionetti- nel ‘Ghetto’ c’è un altro tipo di prostituzione che mantiene un presidio sul territorio, non ha sfruttamento e rappresenta una rete di collaborazione con i distretti sociali e le forze dell’ordine. Si tratta di un presidio fondamentale per il territorio in cui la comunità transgender è pienamente integrata, come dimostra la cura che ha nel mantenimento della piazza”.


Altra croce di quella “Città vecchia” cantata da Fabrizio De André, lo spaccio. “Il vero problema in questo caso- prosegue il portavoce della Comunità- è rappresentato dalla criminalità organizzata, che detiene i vertici e la gestione dello spaccio, e non certo dai migranti che sono l’ultimo anello della catena, quello più debole, così come avveniva ai tossicodipendenti negli anni ’80 e ’90”.

Per contrastare efficacemente uno dei principali sintomi del degrado dei vicoli, secondo Chionetti “mancano i fondi per permettere alle forze dell’ordine di fare attività investigativa a monte, per scardinare la criminalità organizzata e la famiglie mafiose che hanno in mano il traffico di stupefacenti. Ben venga la maggiore presenza di polizia sul territorio ma occuparsi solo dei migranti è come togliere l’acqua da una vasca con un cucchiaino mentre il rubinetto è ancora aperto: non si ottiene nessun risultato, se non quello di una maggiore sicurezza percepita. Occorre un’indagine più approfondita che cerchi di scardinare la fonte di questi approvvigionamenti, oltre a punire chi delinque e spaccia”.

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