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I confini della democrazia… e Boeri che sui migranti confonde le pere con le mele

di Francesco Morosini* per www.ytali.com L’Italia ha ancora confini (vuol dire controllabili) nel Mediterraneo? Oppure, con

Pubblicato:11-07-2017 16:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:31

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di Francesco Morosini* per www.ytali.com

L’Italia ha ancora confini (vuol dire controllabili) nel Mediterraneo? Oppure, con l’immigrazione è un po’ come se, ragionando per assurdo, i confini della Libia si fossero spostati a Nord, fino a raggiungere le Alpi? L’affermazione è certo paradossale, ma con elementi di verità pericolosi per la tenuta della nostra democrazia. Fuor di metafora, la Penisola assomiglia sempre di più alla Libia e alla Turchia nella funzione di “paese contenitore” per tenere i migranti fuori dal limes europeo; e questo sebbene l’Italia sia, anzi proprio per questo, un paese di transito verso quei paesi d’Europa agognati da molti di quelli che attraversano rischiosamente il “lago Mediterraneo”. Ciononostante, i nostri partner europei, bloccando i nostri confini a Nord, oggettivamente ci fanno un’area parcheggio di masse umane: esattamente la funzione di “paese contenitore” che l’Europa, Italia compresa (paradossi della politica), chiede a Turchia e Libia. La qualcosa, purtroppo, si è ulteriormente consolidata al recente vertice sui migranti di Tallinn dove è stata di fatto accantonata la proposta del nostro ministro degli interni Minniti di “regionalizzazione” del soccorso marittimo (significa la possibilità d’attracco in altri porti oltre a quelli della Penisola) onde addivenire a una distribuzione intraeuropea dei rifugiati. Il rigetto di essa è, letteralmente, un conflitto tra elettorati: perché oltralpe ci si rifiuta di condividere con noi gli oneri impliciti nella nostra “politica delle braccia aperte”.

Né miglior sorte, come dimostra l’esito dell’incontro dei ministri degli interni di Tallinn, ha avuto la stessa nostra minaccia di chiudere i porti qualora non avessimo trovato ascolto presso i nostri partner; difatti, essendo rivolta ad un’Europa che di suo già l’aveva fatto, essa è apparsa come una pistola scarica.


Non a caso la risposta europea è stata: già fatto; ma potete aggiungervi, se ne avete la capacità politica, agli Stati che già lo fanno. In altre parole, i nostri partner ora vogliono vedere se la cosiddetta “chiusura dei porti” è un bluff o no. Se lo sarà, subiremo ulteriori perdite di credibilità; altrimenti, se opereremo conseguentemente, facilmente la maggioranza di governo andrà in difficoltà anche subendo un urto pesante con la Chiesa le cui priorità, com’è logico, sono globali a diverse (specie nell’ipotesi di chiusura dei porti) rispetto agli interessi nazionali italiani.

Crisi dell’Europa, allora? No, è peggio. Piuttosto, è come se lo “spazio di Schengen” (fine delle frontiere interne europee ma permanenza di quelle esterne) si stesse riconsolidando ma tenendo l’Italia fuori. Certo, al momento, è più corretto dire che a riemergere, nonostante Schengen, sono i “vecchi” valichi di frontiera degli Stati nazionali come protezione dalla crisi migratoria dei più gestibili confini terrestri (peggio per chi ha “troppe” coste).

Pur tuttavia, è assai difficile evitare l’impressione che Schengen sia tuttora, invece che collassato, operativo; ma, ripetiamolo, col Belpaese fuori. Un bel guaio in termini di Realpolitik: perché un’Italia dal confine marittimo penetrabile e quello alpino blindato rischia molto, soprattutto in termini di stabilità democratica.

D’altronde, di suo l’immigrazione, se percepita come un’ondata di piena, cortocircuita due principi costitutivi dell’ordine politico democratico: da un lato, l’universalizzazione dei “diritti inalienabili dell’uomo” (quindi frontiere aperte) e, dall’altro, il controllo dei confini come espressione della sovranità politica espressiva pure di un welfare nazionale (il senso della socialdemocrazia europea era ed è qui) tutelato dalla competizione dei “nuovi venuti”.

Pertanto, sottovalutando la questione, c’è il rischio che la crisi migratoria divenga rapidamente crisi di legittimità democratica. Ma, almeno, all’economia l’immigrazione conviene? Sì, secondo una simulazione richiamata dal presidente dell’Inps Boeri. C’è del vero, considerando i “vuoti” demografici italiani; tuttavia egli pare pesare le pere (gli immigrati con lavoro in Italia) con le mele (le ondate in arrivo difficilmente impiegabili nel Belpaese dal Pil convalescente). La qualcosa rende malamente applicabile la simulazione di Boeri, pur se valida, all’attuale dramma del Mediterraneo. Pertanto, comunque scelga, la politica dovrà fare scelte, detto letteralmente, tragiche.

*Francesco Morosini è professore a contratto di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È autore di pubblicazioni in tema di vigilanza bancaria, fondazioni di origine bancaria, contratti bancari, legislazione elettorale. L’ultimo suo saggio è Banche centrali e questione democratica. Il caso della Banca Centrale Europea (BCE). Ed. ETS. Collabora con i quotidiani locali del Gruppo l’Espresso e con ytali.

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