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G20 e vertice Tallin: su migranti nessuna proposta credibile

di Oliviero Forti (Caritas) per www.agensir.it Fallimentari i due “grandi” appuntamenti della scorsa settimana. Non solo è stato ribadito che

Pubblicato:11-07-2017 12:04
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:30

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di Oliviero Forti (Caritas) per www.agensir.it

Fallimentari i due “grandi” appuntamenti della scorsa settimana. Non solo è stato ribadito che i migranti non potranno essere sbarcati da alcun’altra parte se non in Italia, ma siamo stati richiamati perché non abbiamo ancora svolto tutti i compiti a casa, a partire dall’aumento dei centri di detenzione sul territorio e dal rafforzamento del sistema dei rimpatri. Messaggio chiaro, dunque: meno solidarietà!

Dal G20 di Amburgo e ancor prima dal vertice di Tallinn non sono emerse proposte utili e credibili per affrontare con serietà la questione migranti. La provocazione italiana di chiudere i porti, per convincere il resto dell’Europa a mostrare maggiore solidarietà, non è stata nemmeno presa in considerazione. Anzi, non solo è stato ribadito che i migranti non potranno essere sbarcati da alcun’altra parte se non in Italia, ma siamo stati richiamati perché non abbiamo ancora svolto tutti i compiti a casa, a partire dall’aumento dei centri di detenzione sul territorio e dal rafforzamento del sistema dei rimpatri. Insomma il messaggio è chiaro:


meno solidarietà verso chi mette a rischio la nostra sicurezza.

E poiché il “politically correct” non contempla l’accusa aperta verso i profughi, allora si colpisce chi li salva. Il fatto che si continui a puntare il dito contro le Organizzazioni non governative che stanno effettuando i salvataggi in mare, svela, anche ad un osservatore poco attento, quale sia la strategia adottata:

individuare il soggetto più debole, il capro espiatorio da colpire, per distrarre l’opinione pubblica dalle vere questioni che non si vogliono affrontare.

Ed ecco che sono mesi che assistiamo a questa indegna giostra mediatica a cui, peraltro, tutti si prestano, sia in Italia sia in Europa, al punto da far credere che un codice di condotta per le Ong in mare possa essere un efficace strumento di politica migratoria. Come dire: una volta che le Ong vedranno scritto nero su bianco come comportarsi in mare, allora gli sbarchi diminuiranno.

Ormai siamo al paradosso.

Come in ogni occasione che si rispetti, anche nei due vertici della scorsa settimana è tornato puntuale il refrain “aiutiamoli a casa loro”, magari investendo in sviluppo, che nella vulgata comune è sinonimo di panacea di tutti i mali.

Peccato che non ci sia mai nessuno che si prenda la briga di raccontare all’opinione pubblica un paio di cose: la prima è che anche un eventuale piano Marshall per l’Africa avrebbe degli effetti sui flussi migratori nel lungo periodo e non nell’immediato. La seconda cosa, ancora più grave e ambigua, è che il contributo dei governi europei al fondo fiduciario per l’Africa, per il quale gli Stati membri avrebbero dovuto mettere circa due miliardi, oggi è fermo ad appena 89 milioni di euro.

Nonostante i richiami e le minacce di aprire procedure di infrazione contro i governi che stanno disattendendo l’impegno di ricollocare i migranti dall’Italia e dalla Grecia, la situazione è sostanzialmente bloccata perché nessuno ha il coraggio di dire ai propri elettori che dei profughi arriveranno nel loro Paese. E quindi chi viene portato in Italia continua a rimanere in Italia, senza alcuna possibilità di spostarsi, nemmeno nella Francia del neo presidente Macron che il 29 giugno a Berlino ha detto chiaramente che terrà chiusa Ventimiglia ai migranti “economici”.

Verrebbe quasi da chiedere al giovane presidente: allora i richiedenti asilo li possiamo ricollocare in Francia?

In un quadro totalmente confuso, dove l’unica certezza è che l’Italia dovrà continuare a cavarsela da sola, un elemento sembra far convergere le aspettative di tutti, ad eccezione di chi ha a cuore il destino dei migranti: l’esternalizzazione delle frontiere europee in Libia.

Per farlo, però, è necessario poter contare su un partner affidabile, che abbia il controllo del Paese. Al momento il primo ministro El Sarraj non può assicurare tutto questo e, dunque, ci si limita ad assistere la Guardia costiera di Tripoli, capitale di un Paese dove il rispetto dei diritti umani è un concetto molto labile.

Quanto emerso dagli incontri di queste settimane è fonte di grande preoccupazione perché registra non solo un’assenza di solidarietà ma, come ha ricordato Papa Francesco qualche giorno fa, “pericolose alleanze tra potenze che hanno una visione distorta del mondo” e “colpisce soprattutto gli immigrati di Paesi di mezzo mondo e li colpisce ancora di più col passare del tempo”.

(*) Ufficio Immigrazione Caritas Italiana

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