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App Immuni, l’esperto: “Resta il sospetto di ‘profilazione di massa’”

Il presidente di Anorc Professioni, avvocato Andrea Lisi, sin dall'inizio è stato tra i più scettici sulla soluzione scelta dall'esecutivo

Pubblicato:11-06-2020 11:37
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:28

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ROMA – Ancora ombre sull’app Immuni. Seppure l’atteso sforzo di trasparenza sia arrivato, con la pubblicazione del codice sorgente e dei contratti che legano la società Beding Spoons al governo, la recente dichiarazione di Google secondo cui basta che il 10% dei cittadini scarichi l’app perché il sistema di contact tracing sia efficace, riaccende il sospetto degli esperti.

“Potrebbe esserci qualcosa che non ci dicono”, suggerisce il presidente di Anorc Professioni, avvocato Andrea Lisi, che si dall’inizio è stato tra i più scettici sulla soluzione scelta dall’esecutivo. “Perché- spiega l’avvocato che da 15 anni si occupa di Diritto applicato all’informatica- secondo molti esperti e uno studio scientifico specifico sulle app di tracing serve che almeno il 60% dei cittadini utilizzi l’app perché questa sia realmente in grado di raggiungere i suoi obiettivi. A questo punto vale la pena domandarsi se c’è qualcosa che Apple e Google possono mettere in atto entrando nel sistema e che non ci raccontano. Perché non è chiaro quale siano le garanzie date da queste due grandi società straniere al nostro governo. Ci sono protocolli di intesa su cui di poggia l’app Immuni nel momento in cui si interfaccia con le API messe a disposizione da Apple e Google? Dietro a questa operazione- ipotizza Lisi- potrebbe non esserci solo la gestione (che si sta rivelando piuttosto complessa) della pandemia. Ci potrebbe venire il sospetto che Immuni più che un app utile per contenere la pandemia, serva ad altro. Oggi esistono software predittivi, algoritmi che in base a dati anche pseudonimizzati riescono a studiare i comportamenti dei cittadini non solo in una situazione pandemica. E questo si può riassumere nel termine ‘profilazione di massa‘, una pratica che cadrebbe nei divieti previsti dal GDPR, perché possibile solo con esplicito e informato consenso dell’utente titolare dei dati o in caso di esplicita autorizzazione conferita ex lege. Non è un caso che il Garante per la protezione dei dati personali- aggiunge Lisi- nelle 12 indicazioni con le quali ha accompagnato il via libera a Immuni, sembra chiedere proprio a Google e Apple maggiore chiarezza sul trattamento dei dati e ulteriore trasparenza informativa”. 

Secondo Lisi questa è l’ennesima vicenda oscura in quella che finora è stata “una corsa ad ostacoli, per rattoppare il rattoppabile”. “In realtà- si legge in un articolo comparso ieri a firma dell’avvocato su Key4biz- a prescindere dai numeri controversi, dalle tante polemiche che si sono accavallate nel tempo sulla sicurezza informatica della soluzione, dai dubbi sulla trasparenza nella selezione e nella stessa procedura negoziale seguita, ciò che pesa davvero su Immuni è la sensazione che ci sia la totale mancanza di una solida strategia di fondo e di efficace coordinamento tra ministeri e ciò mina alle radici l’intera tenuta del progetto così come è stato impostato sino ad oggi”.


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