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Nello Spazio con Nespoli, ecco gli esperimenti di Vita/Nanoros VIDEO

L'idea alla base di Nanoros è quella di riuscire a contrastare i radicali liberi grazie a un innovativo antiossidante nanotecnologico

Pubblicato:11-06-2017 14:32
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:19

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Medicina e tecnologia, biologia e fisica. Sono 13 gli esperimenti di matrice italiana di cui si occuperà l’astronauta Paolo Nespoli durante la missione Vita sulla Stazione Spaziale Internazionale.

I loro risultati contribuiranno alle cure per numerose patologie, aumenteranno la nostra conoscenza dello Spazio e saranno utili a preparare le missioni di lunga durata del futuro, a partire da quella dell’Uomo su Marte.

L’Agenzia DIRE li racconterà, uno per uno, con interviste ai responsabili e visite ai laboratori in cui sono nati.


L’esperimento di cui ci occupiamo questa settimana è Nanoros.


L’idea alla base di Nanoros è quella di riuscire a contrastare i radicali liberi grazie a un innovativo antiossidante nanotecnologico. Niente più integratori a lungo termine della dieta, ma una sostanza che può essere assunta una sola volta: la soluzione che quest’esperimento spera di trovare può avere un ruolo fondamentale per le missioni di lunga durata degli astronauti, ma anche per chi, sulla Terra, soffre di patologie legate allo stress ossidativo, come malattie neurodegenerative e osteoporosi.

Ne abbiamo parlato con Gianni Ciofani, ricercatore dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) e Principal Investigator dell’esperimento.

Il team scientifico di Nanoros: Giada Genchi, Alice Salgarella, Gianni Ciofani, Ilaria Pezzini, Attilio Marino

CHE COS’E’ NANOROS

“L’esperimento Nanoros consiste nel testare in condizioni di microgravità una nanoparticella- cosiddetta antiossidante- in grado di abbattere i livelli di radicali liberi e quindi di stress ossidativo a livello dell’organismo- spiega Ciofani-. Questa nanoparticella è una particella ceramica, ossido di cerio per l’esattezza, e ha le medesime qualità che può avere un antiossidante naturale, come la vitamina C o la vitamina E, con il vantaggio di essere notevolmente più efficiente e autorigenerante. E’ in grado di avere la capacità antiossidante molto prolungata nel tempo, quindi, virtualmente, questa particella funziona all’infinito o almeno fino a quando rimane all’interno della struttura biologica”.

“Noi studieremo gli effetti di questa nanoparticella su delle colture di cellule muscolari, perché i muscoli sono molto soggetti a stress ossidativo in ambiente di microgravità, in ambiente spaziale, sia per la ridotta forza di gravità sia per la presenza di forti dosi di radiazioni: quindi, un astronauta è soggetto a condizioni di stress molto significative ed è costretto ad assumere con la dieta un continuo apporto di antiossidanti. La nostra idea è cercare di proporre una nuova tipologia di antiossidante, un antiossidante nanotecnologico, che possa funzionare meglio e che possa essere somministrato una volta soltanto, che non debba diventare un integratore a lungo termine della dieta”.

Cosa succederà sulla Stazione Spaziale Internazionale? C’è anche una parte dell’esperimento che si svolge sulla Terra?

“L’esperimento vero e proprio viene effettuato solamente in orbita, sulla Stazione Spaziale Internazionale. A Terra noi faremo degli esperimenti di controllo, e poi condurremo tutte quante le analisi. In orbita avviene l’esperimento, al termine tutta quanta la coltura cellulare verrà congelata dall’astronauta, poi i campioni verranno recapitati nel nostro laboratorio e quindi effettueremo le analisi. I risultati li sapremo solo una volta che tutto il pacchetto dell’esperimento tornerà a Terra e avremo effettuato le analisi”.

L’esperimento durerà tre giorni: al termine di questo periodo l’astronauta posizionerà l’hardware in cui è avvento l’esperimento biologico in congelatore e poi con calma verrà recapitato alla prima occasione utile di rientro sulla Terra.

Quanto ci vorrà per i primi dati?

“Una volta che avremo di nuovo i campioni siamo fiduciosi nel giro di qualche mese, 3, 4 mesi, di riuscire ad avere dei dati a sufficienza per riuscire a capire che cosa ha funzionato e riuscire ad avere delle indicazioni per esperimenti futuri. Per riuscire a capire se effettivamente questo agente antiossidante ha funzionato oppure no”.

Se l’antiossidante funzionerà sono attese anche importanti ricadute per la salute sulla Terra.

“Le ricadute possono essere molteplici perché lo stress ossidativo è alla base di tutta una vasta serie di patologie che affliggono la popolazione terrestre. Possono essere patologie neurodegenerative, o anche patologie a carico del sistema muscolo scheletrico. Quindi riuscire a elaborare una nuova soluzione nanotecnologica basata su queste strategie può avere degli enormi vantaggi non solo per la medicina spaziale – ovviamente un domani potremo sfruttare questa situazione per missioni di lunga durata-, ma può anche avere delle importanti ricadute per quanto riguarda la medicina terrestre. Mi riferisco a tutte quelle patologie che hanno la loro base in una sovraproduzione di radicali liberi, di stress ossidativo.”

Il progetto Nanoros è finanziato e coordinato dall’Agenzia spaziale italiana.

La coordinazione scientifica è dell’Istituto italiano di tecnologia, in partnership con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, mentre l’azienda la Kayser Italia di Livorno fornisce l’hardware.

di Antonella Salini, giornalista professionista

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