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Dai senzatetto ai rom, ecco la mappatura della marginalità a Bologna

Protocollo d'intesa per l'assistenza che punta a mettere insieme Comune, Ausl, Università, Emergency, Sokos e Confraternita della misericordia

Pubblicato:11-06-2016 11:04
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:51

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povertà

BOLOGNA – Com’è composta, a Bologna, la quota di abitanti che attualmente vivono in condizioni di marginalità sociale? Innanzitutto c’è la “popolazione di strada non residente”: circa 600 persone, prevalentemente straniere, con un flusso annuale di 1.200-1.300 unità e con punte di 1.500 durante i mesi invernali. Poi c’è la popolazione Rom: circa 200-250 persone che cambiano ciclicamente. Sono due dei cinque gruppi elencati in un Protocollo d’intesa per l’assistenza alle popolazioni con vulnerabilità sociale che punta a mettere insieme Comune, Ausl, Università e le associazioni Emergency, Sokos e Confraternita della misericordia. Il terzo gruppo è quello degli stranieri temporaneamente presenti senza permesso di soggiorno o in situazione giuridica di presenza irregolare. Un’altra categoria elencata nel protocollo comprende i neocomunitari che non hanno copertura sanitaria.

Infine, si aggiungono i richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria o internazionale in situazione di accoglienza nell’area metropolitana, con 1.600 posti nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) e 270 nell’Hub di via Mattei. “A partire da un approccio integrato tra diversi livelli assistenziali”, il progetto “si prefigge di garantire l’accesso alle cure, la presa in carico e la continuità nei percorsi assistenziali a fasce di popolazione in condizioni di marginalità sociale: migranti privi di risorse e di assistenza sanitaria, con o senza permesso di soggiorno; persone senza fissa dimora; portatori di patologie spesso socialmente stigmatizzate (tossicodipendenti, positivi all’Hiv, soggetti psichiatrici); nuovi poveri o soggetti comunque a rischio di scivolare tragicamente nell’esclusione sociale”.


Le principali azioni che i firmatari si impegnano a perseguire sono, per cominciare, “raggiungere un buon livello di conoscenza delle popolazioni con vulnerabilità sociale e delle caratteristiche socio-demografiche che possono limitarne l’accesso all’assistenza, integrando le basi informative delle istituzioni e delle associazioni di volontariato”. Inoltre, si punta ad “assicurare l’equità nell’accesso alle cure a tutte le persone, rimuovendo, per quanto possibile, gli ostacoli sociali, culturali e amministrativi che limitano la possibilità di usufruire dell’assistenza necessaria”. Il progetto, poi, intende “assicurare la continuità dell’assistenza nei passaggi di setting (strada, casa, ambulatorio, dormitorio, luogo di cura) e nei passaggi tra erogatori (volontariato, Ausl, Comune)”. L’intenzione, infine, è “migliorare l’integrazione tra il sociale e il sanitario per dare risposte complete ai bisogni espressi, limitando inappropriate medicalizzazioni e ridondanti duplicazioni”, oltre che “garantire una formazione specializzata a tutti gli operatori coinvolti”. L’Ausl, inoltre, si impegna alla istituzione di un “Programma per le popolazioni in condizione di vulnerabilità”, trasversale ai Dipartimenti aziendali: l’obiettivo, in questo caso, è “coordinare le azioni messe in campo dall’Azienda e le risorse impegnate, collaborando strettamente con le altre Agenzie del territorio e con tutti gli attori che partecipano al Protocollo d’intesa”.

di Maurizio Papa, giornalista

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