Getting your Trinity Audio player ready...
|
ROMA – Figlia di tante madri e padri e a sua volta madrina di tanti figli, in una comunità che l’ha accolta aprendole una dimensione nuova dal punto di vista spirituale e artistico. È la storia raccontata dagli scatti di Cristina Cenciarelli, fotografa romana che da quasi venti anni si è stabilita sull’isola di Boipeba, a largo dello Stato del Brasile settentrionale di Bahia.
Le suo foto sono al centro di una mostra, ‘Boipeba, luogo senza tempo’, visitabile fino al 3 giugno presso l’Ambasciata del Paese sudamericano a Roma, nell’ambito delle celebrazione in Italia del Bicentenario dell’indipendenza brasiliana, proclamata nel 1822. Alla galleria Candido Portinari di Palazzo Pamphilj, nell’edificio affacciato sulla centrale Piazza Navona, si può accedere gratuitamente.
I curatori della mostra Paola Asquini e Andrea Ottaviani hanno voluto mettere a disposizione più livelli comunicativi, includendo in ogni sala anche una riflessione scritta dell’autrice e un codice qr code che permette di accedere a una narrazione audio. Tre i temi che strutturano la mostra ci sono la pesca, principale attività produttiva dell’isola ma anche metronomo che scandisce un tempo “che insegna ad aspettare”; i ritratti, scattati soprattutto ad anziani dell’isola, immortalati a loro volta con altri ritratti in foto o dipinti, molto poco diffusi fra la popolazione dell’isola; il Candomblè, religione di origine africana molto diffusa sull’isola e in generale in tutto lo Stato di Bahia, ma presente anche nel resto del Brasile e in altri Paesi del Sudamerica e dei Caraibi, all’interno della quale la fotografa romana è stata accolta.
Come lei stessa racconta al microfono dell’agenzia Dire infatti, Cenciarelli sull’isola è “Figlia di Santo di Oxum e di Oxalà”, due orisha, figure sacre del pantheon candomblè che hanno caratteristiche di santi e di divinità. “Questa condizione, per me che ero atea, ha costituito un cambiamento enorme: mi permette di fotografare le cerimonie sacre, a cui mi invitavano ancor prima che diventassi figlia di Santo. Queste celebrazioni sono molto intime e anche nascoste, visto che fino a poco tempo fa il Candomblè non era accettato in quanto religione portata in Brasile dagli schiavi di origine africana”, spiega l’artista romana, un passato nel mondo della pubblicità e del teatro.
“Sono stata molto aiutata da questa accoglienza perché mi ritengo una fotografa timida e avevo difficoltà a scattare di nascosto. Sono parte di una famiglia ora, figlia di madri e padri ma anche madrina di tanti figli”. Un’accoglienza che è stata quindi una via d’accesso a “una dimensione di apertura nuova e verso emozioni che non provavo più da tempo”. Cambiamenti profondi che formano quasi una visione dell’esistenza e identità nuove che però “si uniscono e si completano con quella che avevo a Roma, città dalla quale non sono fuggita. Semplicemente- conclude la fotografa- ho deciso di vivere a Boipeba“.
Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it